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12 Ottobre 2024 04:48

Il database dei malati oncologici e le intercettazioni delle sorelle hanno “tradito” Messina Denaro

A tradire senza volerlo il boss che ancora teneva le redini di Cosa Nostra incredibilmente sono state le persone che avevano fatto di tutto per affiancarlo, proteggendolo per evitargli le manette. Gli volevano salvare la vita a tutti i costi ed hanno iniziato ad agitarsi troppo: le tre sorelle di Matteo Messina Denaro cercavano un modo di curarlo, e probabilmente è stata proprio una di loro a far sapere inconsapevolmente agli instancabili carabinieri del Ros che nel misterioso covo si stava fronteggiando l’inaspettata emergenza

Matteo Messina Denaro nel cercare di entrare nella vita di un altro uomo  non aveva fatto i conti con la tecnologia. Non tanto quella delle tradizionali indispensabili intercettazioni, ma la possibilità di consentire agli investigatori di analizzare le banche dati dei pazienti oncologici. La cattura è stata possibile mettendo insieme un’informazione “preziosa” raccolta ascoltando le chiacchiere imprudenti delle sorelle del boss che parlavano di tumore, andando a spulciare la lista di tutti i malati di tumore della Sicilia.

C’è voluto non poco tempo, ma la fretta in queste indagini non è mai una buona alleata. Gli investigatori ed analisti dell’ Arma dei Carabinieri non hanno guardato il proprio orologio, e si sono presi tutto il tempo necessario, hanno analizzando una ad una l’identità di tutti i pazienti oncologici: dalle caratteristiche fisiche alle le condizioni di salute, ma anche la provenienza. E quando si sono imbattuti la scorsa primavera nel nome di Andrea Bonafede, hanno intuito che c’era qualcosa di strano. E lo hanno verificato con la più scrupolosa attenzione. 

Il primo sospetto si è acceso quando hanno scoperto che il vero Andrea Bonafede geometra di Campobello di Mazara, stando almeno ai certificati depositati in ospedale, risultava essere stato sottoposto a un piccolo intervento in day hospital alla clinica La Maddalena ma non vi era alcun riscontro, e che in realtà non era mai stato lì. Nelle stesse ore, infatti, lo smartphone di Andrea Bonafede (che per gli investigatori non era proprio uno sconosciuto) ha agganciato una cella telefonica non lontana da casa, in quel piccolo borgo che si trova nei dintorni di Trapani, a 108 chilometri dal capoluogo siciliano. Da lì si è capito che qualcosa di strano c’era.

Ed infatti non a caso, anche ieri mattina, quando Matteo Mesina Denaro si fingeva il signor Bonafede, quello reale era si trovava casa, osservato a vista in modalità “invisibili” dai carabinieri. Il resto dell’indagine, conclusa con abbracci e applausi, si è svolta utilizzando accertamenti tecnici che però chiaramente i Carabinieri del Ros non vogliono e non possono svelare. “Qualche giorno fa abbiamo avuto la certezza che la persona che si presentava con quel nome alla casa di cura aveva prenotato una visita per lunedì mattina e a quel punto abbiamo organizzato il blitz – ha raccontato in conferenza stampa il generale Pasquale Angelosanto comandante del Ros, – Ma fino a quando non abbiamo fermato quell’uomo non potevamo essere sicuri che il paziente in cura fosse davvero il latitante, anzi l’ex latitante. Diciamo che su un aspetto non avevamo dubbi: quello in cura non era il titolare di quel documento e di conseguenza sospettavamo che fosse proprio l’uomo che cercavamo da trent’anni“.

il generale Pasquale Angelosanto comandante dei Carabinieri del Ros

A tradire senza volerlo il boss che ancora teneva le redini di Cosa Nostra incredibilmente sono state le persone che avevano fatto di tutto per affiancarlo, proteggendolo per evitargli le manette. Gli volevano salvare la vita a tutti i costi ed hanno iniziato ad agitarsi troppo: le tre sorelle di Matteo Messina Denaro cercavano un modo di curarlo, e probabilmente è stata proprio una di loro a far sapere inconsapevolmente agli instancabili carabinieri del Ros che nel misterioso covo si stava fronteggiando l’inaspettata emergenza, quella di una malattia gravissima e già in fase avanzata.

A rendere più complicata la vita del boss-fantasma di Castelvetrano sono stati anche gli arresti effettuati nel tempo dalle forze dell’ ordine: in tutti questi anni la rete di supporto a Matteo Mesina Denaro si è molto ridotta. Anche economicamente. “In due lustri l’Arma ha arrestato 100 persone, tutte con l’accusa di aver avuto un ruolo nella latitanza del super boss – ha evidenziato il generale Angelosanto – Le confische, che solo per quanto riguarda quelle effettuate dai carabinieri, superano i 150 milioni di euro hanno dato un altro colpo fatale all’organizzazione mafiosa. A questi dati ovviamente si devono aggiungere anche i sequestri fatti scattare dalla Polizia di stato e dalla Guardia di finanza. Insieme abbiamo complicato e di molto la vita quotidiana di Cosa nostra, diciamo che ne abbiamo compromesso il funzionamento“.

Adesso che il capo degli “stragisti” è finalmente finito in cella i mandamenti mafiosi devono riorganizzarsi. Totò Riina aveva nominato i suoi “eredi” e ora si scoprirà se anche Matteo Messina Denaro avesse previsto il rischio di poter perdere tutto il potere e di lasciare affari, violenze e influenze nelle mani di qualcun altro. Per il momento ha perso la partita più importante: la sua . La differenza tra uno “stragista” e lo Stato si nota quando il boss è in manette. Quando il nemico potrebbe infierire e invece mostra più pietà che durezza. Basta guardare con attenzione i video girati davanti alla clinica La Maddalena: i Carabinieri lo hanno trattato con rispetto, consentendo a quell’uomo seminascosto da un montone e un cappello di lana calato fin sulla fronte di non venire ammanettato. I carabinieri dei reparti speciali del Ros e del Gis gli stanno ai fianchi ma prima lo affidano a una carabiniera che lo porta sottobraccio con rispetto. Lui camminava adagio e prima di salire sul van dell’Arma deve badare a non perdere l’equilibrio. Che stia male si vede chiaramente.

Non si è nascosto, pronunciando il suo verno nome e cognome, perché anche al momento della cattura un boss che si sente anche “simbolo” ha il dovere di mostrarsi duro, di non essersi piegato. “La malattia lo ha reso più vulnerabile – sottolinea il procuratore aggiunto Paolo Guido, che ha coordinato in prima persona questa inchiesta – Tutto sommato comunque non abbiamo trovato una persona in pessime condizioni: diciamo che il quadro è coerente con un sessantenne che affronta quel genere di patologia. In carcere potrà proseguire le terapie“.

Già poche ore dopo l’arresto la Procura di Palermo ha chiesto l’applicazione del regime di carcere duro per il capomafia di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. L’istanza è stata inviata al ministero della Giustizia. Il provvedimento dei pm porta la firma del procuratore Maurizio de Lucia e dell’aggiunto Paolo Guido. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha subito firmato e disposto il 41 bis per Messina Denaro.

Il boss capomafia ha nominato come difensore sua nipote Lorenza Guttadauro, nipote a sua volta anche del capomafia palermitano Giuseppe Guttadauro.  “Sono rimasta sorpresa anche io dalla nomina ricevuta da Matteo Messina Denaro, le dico la verità, non me l’aspettavo. Sono sincera“. A parlare con l’Adnkronos è l’avvocata Guttadauro, nipote e legale appena nominata dal capomafia di Castelvetrano dopo il suo arresto avvenuto ieri mattina. Lorenza Guttadauro è la figlia di Filippo Guttadauro e Rosalia Messina Denaro, sorella del boss di Castelvetrano. “Ancora non mi è arrivata la notifica ufficiale – dice la legale – Ho ricevuto una telefonata informale in cui mi veniva comunicata la scelta del cliente, diciamo che sono ancora in attesa. Ora devo capire se questa nomina riguarda anche gli altri procedimenti in corso“. La data dell’interrogatorio di garanzia per l’ex latitante non è stata ancora fissata. Intanto, dopodomani, 19 gennaio, è prevista l’udienza all’aula bunker di Caltanissetta che vede imputato Messina Denaro per le stragi mafiose del ’92. “Non so ancora se lo rappresenterò anche in quel processo“, dice. Finora Messina Denaro ha avuto solo legali d’ufficio.

Lorenza Guttadauro è sposata con Luca Bellomo, che era finito in carcere nel 2014 con l’accusa di essere l’ultimo “ambasciatore” del boss di Castelvetrano. La professionista ha anche difeso la zia Anna Patrizia, sorella di Messina Denaro, e il fratello Francesco, arrestati con l’accusa di essere il braccio operativo del capomafia. Un avvocato che di mafia ne sa parecchio.

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