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19 Marzo 2024 09:36
19 Marzo 2024 09:36

Caso Palamara, indagini sulle procure di Trani e Matera

La Procura di Perugia ha acquisito da quella di Potenza le dichiarazioni dei pm baresi Lanfranco Marazia e della moglie Silvia Curione, e dell’avvocato Calafiore per fare luce sui rapporti con Amara e Paradiso- La "strana" presenza del figlio del procuratore di Matera Argentino, negli uffici romani di Amara

ROMA – Dopo le indagini della Procura di Lecce che indaga sui giudici di Trani, e quelle discutibili e controverse della Procura di Potenza il cui procuratore capo Francesco Curcio lo scorso gennaio è stato destituito dal Consiglio di Stato e dovrà quindi essere sostituito, adesso anche la procura di Perugia, che si occupa dell’inchiesta vuole fare chiarezza.

Il pm Gemma Miliani della Procura di Perugia

Il sostituto procuratore Gemma Miliani della procura umbra ha deciso di fare luce e chiarezza sulle nomine dei capi degli uffici di Trani, Antonino Di Maio, (anche questa revocata dal Consiglio di Stato) e quello di Matera, Pietro Argentino, per cercare di capire se l’ex potente leader di Unicost ed ex presidente dell’ ANM abbia in qualche modo orientato le scelte del Csm a seguito di eventuali “pressioni” esterne.

il procuratore capo di Matera Pietro Argentino

Nel dicembre 2019 il pm Miliani aveva acquisito dalla Procura di Potenza tre verbali di interrogatori effettuati nell’ambito dell’inchiesta che a maggio ha portato al discutibile arresto cautelare del procuratore capo di Taranto, Carlo Maria Capristo, che successivamente essendo ormai prossimo alla pensione ha rassegnato le dimissioni dalla Magistratura.

il magistrato Silvia Curione, moglie del pm barese Lanfranco Marazia

Circostanza che è venuta a galla soltanto recentemente dopo il deposito degli atti. Gli atti che la procura di Perugia ha voluto acquisire sono le dichiarazioni dei pm Lanfranco Marazia e Silvia Curione, rispettivamente marito e moglie, nonchè quelle dell’avvocato Giuseppe Calafiore che erano state coperte da “omissis” e quindi sinora non note . Calafiore è il socio dell’avvocato Amara (nel cui studio legale romano lavora il figlio di Pietro Argentino) che il procuratore di Potenza Curcio aveva ascoltato a Roma nel giugno 2019 .

la presenza del figlio di Argentino negli uffici di Amara, emersa dall’ ordinanza di arresto emessa del Gip Daniela D’ Auria del Tribunale di Rom , del 2 febbraio 2018 nei confronti di di Amara, Calafiore e Centofanti

La Procura di Perugia aveva acquisito dalla Procura di Messina, le dichiarazioni rese dai pm della procura di Trani, aveva acquisito anche, le dichiarazioni sull’ ENI, acquisite dai magistrati siciliani, dei pm tranesi Alessandro Pesce e Antonio Savasta , cioè quelle indagini che i magistrati di Trani avevano condotto, a seguito di una lettera anonima che raccontava di un falso complotto nei confronti dell’ amministratore delegato dell’ Eni, De Scalzi, che è emerso era stata preparata dall’ avv. Amara

L’ avv. Calafiore nel suo interrogatorio ha sostenuto che il collegamento di questi fatti sarebbe l’ex procuratore Capristo, insieme a un suo amico, il poliziotto Filippo Paradiso che risulta indagato anche a Roma) il quale secondo le affermazioni della coppia Marazia- Curione sarebbe stato «legatissimo» a Capristo , aggiungendo dei commenti sulle nomine dei magistrati, in particolare di Pietro Argentino a capo della procura di Matera.

il plemun del Consiglio Superiore della Magistratura al voto

Per questo motivo la pm Miliani della Procura di Perugia ha acquisito dal Csm anche i verbali di commissione e del plenum che hanno portato alle nomine di Argentino a Matera e di Di Maio a Trani. L’ approfondimento d’indagine della procura umbra è necessaria ad accertare eventuali influenze illecite sulle nomine “pilotate” da Palamara e la sua “cricca” di toghe sporche

Va ricordato che l’avvocato Giuseppe Calafiore ed il suo socio Amara avevano patteggiato davanti al giudice per l’udienza preliminare Alessandro Arturi una condanna a 2 anni e 9 mesi il primo e 3 anni di reclusione il secondo per l’accusa di corruzione in atti giudiziari. I due “faccendieri” erano stati arrestati nel febbraio del 2018 nell’ambito di una operazione congiunta tra le procure di Roma e Messina.

Amara aveva iniziato a collaborare con gli inquirenti dopo l’arresto, era considerato il “regista” di una serie di episodi di corruzione per aggiustare sentenze anche davanti ai giudici amministrativi. Amara aveva patteggiato anche per il processo sul “Sistema Siracusa” una pena a 1 anno e 2 mesi in continuazione con la sentenza di Roma.

da sinistra Longo, Amara e Calafiore

Dai verbali della 5a commissione Csm, quella per gli incarichi e nomine direttive, è emersa però una curiosa coincidenza per la scelta del successore di Carlo Maria Capristo al vertice della Procura di Trani (da cui si trasferì a capo della procura di Taranto). E cioè la presenza tra i candidati di Giancarlo Longo l’ex pm di Siracusa che è stato arrestato e condannato proprio per i suoi rapporti con l’avvocato-faccendiere Amara.

L’indagine su Luca Palamara venne avviata proprio a seguito dell’ipotesi, successivamente decaduta, che il magistrato romano avesse preso dei soldi da Amara per favorire la nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela.

il procuratore capo di Potenza Francesco Curcio, rimosso dal Consiglio di Stato

Alla luce di tutto ciò si continua a non capire l’operato della procura di Potenza su Carlo Maria Capristo, considerato che nelle indagini al momento non risulta alcun atto “sospetto” commesso dal magistrato mentre alla guida della Procura di Taranto, sulla quale avrebbe competenza la procura lucana, peraltro guidata da un magistrato come Curcio che non aveva i titoli per guidarla !

Dietro le quinte in realtà si combatte una dura guerra fra “bande” armate delle correnti della magistratura, uno scontro che sembra non voler finire mai nonostante gli appelli rimasti di fatto inascoltati del Capo dello Stato. Una vera e propria guerra dove i magistrati usano da troppo tempo giornalisti sodali pronti a mettersi al loro servizio permanente effettivo., come denunciato pubblicamente anche dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri.

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