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26 Aprile 2024 02:03
26 Aprile 2024 02:03

Nasce a Roma il museo intitolato all’indimenticato campione Pietro Mennea

Una domenica a Tokyo alle fine della stagione 1980, mentre suoi colleghi e compagni di squadra andavano per sushi, chi per gadget tecnologici non ancora arrivati in Italia, Pietro Mennea trascurò tutto e si fece aprire lo stadio per allenarsi anche quel giorno poichè il giorno dopo doveva affrontare la gara dei 200. La vinse in 20.03, a fine stagione, a livello del mare: ha avuto ragione lui. L'uomo e l'atleta che solo con il "sacrificio" è diventato il Mennea che è stato, che è, e che sarà.
di Alessia Di Bella

Sarà anche un museo, e proprio in quello Stadio dei Marmi, che è uno dei luoghi più suggestivi di Roma, nel parco del Foro Italico, che è idem come sopra, lo stadio che porta il suo nome. I lavori per il museo partiranno a breve e usufruiranno di parte del finanziamento di 80 milioni di euro versati dal governo a Sport e Salute nell’ambito del Pnrr. Il suo nome Mennea è diventato nel tempo un modo di dire: “E che sei, Mennea?”. Manuela, la moglie di Pietro Mennea, del quale ieri si è celebrato il decennale della sua scomparsa, ha raccontato di come suo marito lo immaginasse ed ha portato con sé due dei tanti tesori della “Freccia del Sud” come lo chiamavano nell’ambiente, ma una volta il campione pugliese, che sapeva essere ironico oltre che spigoloso, raccontò a una Coppa Europa che s’era sentito “la Freccia del Nord” in quanto gli unici italiani presenti erano più meridionali di lui, Ileana Ongar nata ad Alessandria d’Egitto e Marcello Fiasconaro che veniva addirittura dal sud che più sud non ce n’è, dal Sudafrica.

Nello stadio dei Marmi ieri mattina, in occasione del decennale della sua scomparsa, lo sport italiano e la città di Roma hanno ricordato (in una commemorazione intitolata ‘10.01. Mennea, l’uomo e il campione) il grande velocista azzurro, a cui verrà dedicato un museo all’interno di quell’impianto che già porta il suo nome.

Alla cerimonia, molto commossa e felice, era presente la moglie del campione azzurro di atletica – scomparso il 21 marzo del 2013 – Manuela Olivieri: “Sarebbe felice di vedere quanta gente è venuta oggi. Ha seminato amore durante la sua vita e ora le persone ancora lo ricordano dopo 10 anni. Pietro sarebbe orgoglioso di me, del lavoro che sto facendo per lui e per realizzare il suo progetto di un museo“. “Poi è andata così, lui non c’è più ma io mi sono sentita in dovere di portare avanti questa sua volontà. Quando stava male mi diceva di non mandare in malora tutto quello che avevamo costruito e allora ho tenuto duro. Fino a quando Sport e Salute non ha proposto questo stadio per il museo: ora abbiamo di nuovo questo sogno e sarà come lo vogliamo, rivolto ai giovani per renderli uomini valorosi come Pietro”.

Quei tesori d’oro erano la medaglia olimpica di Mosca ’80, che doveva essere la sola prescelta, e quella Europea di Roma ’74, che proprio ieri mattina ha raccontato le è sembrato da un qualche scaffale la guardasse e le dicesse “porta anche me“. Ed è stato giusto farlo: l’anno prossimo, dopo 50 anni, ritornano gli Europei di atletica a Roma, ma ecco anche il Museo Mennea, la cui inaugurazione è prevista in primavera.

C’erano anche altri ricordi che Manuela Mennea aveva con sé, insieme con i ricordi di una vita con suo marito Pietro, che profumavano di tenerezza. Partendo da un appunto, tra i mille ritrovati, perché Pietro ne prendeva sempre, un appunto che era una personale rivisitazione della poesia “If” (cioè “Se“), quella di Kipling nella quale invita il figlio a trattare tutto nello stesso modo; anche Mennea invitava a farlo, con la vittoria e la sconfitta, la felicità e il dolore, la speranza e il rimpianto. Per esempio un vecchio filmato (anno 2008) che riproponeva un incontro fra Pietro e Tommie Jet Smith, l’uomo cui Mennea sottrasse con la vittoria il suo precedente titolo mondiale.

“A tutti avrei voluto toglierlo, meno che a lui” disse Pietro Mennea che ricordava la corsa da record di Tommie Jet Smith ai Giochi olimpici di Messico ’68 e quel suo annientare il razzismo, col pugno destro chiuso e guantato di nero, una vittoria aveva fatto penetrare ancora di più il virus dell’atletica nel sedicenne Mennea quel giorno impegnato in una gara di ragazzi a Termoli. Bella anche la frase di Pietro Mennea dopo il 10.01: “Peccato, potevo andare sotto i 10″. Lo stavano ad ascoltare gli studenti dello Iusm, Davide, Luca, Gerwin e gli altri, che magari non conoscevano i particolari ma conoscevano la leggenda. del ‘”E chi sei, Mennea?” che ha ricordato il presidente del CONI Giovanni Malagò ; e nel ricordo fatto da Franco Carraro che ha raccontato di quando “diceva di andare a casa dalla famiglia e invece andava a discutere la tesi di laurea” . Pietro Mennea ne prese ben quattro.

Anche il presidente Giuliano Amato ha sottolineato di come l’eccellenza dell’eccellenza l’Italia la si possa trovare sì nei suoi cervelli in fuga, ma soprattutto nei campioni dello sport che stanno e crescono qui, il ministro dello sport Andrea Abodi che ha parlato del coraggio, della testardaggine, dell’insegnamento di Pietro Mennea da portare nelle scuole parlando dell’iniziativa “all’insegna della tecnologia, oltre che dei cimeli” e sarà “un museo veloce e non stanco, che riaffermerà e difenderà i valori di Pietro. Mi piacerebbe che il suo esempio fosse una spinta per la nazione“. Il presidente di Sport & Salute Vito Cozzoli, pugliese anche lui, che conserva l’autografo che Pietro fece alla di lui mamma, professoressa d’inglese, sul biglietto di Roma ’74, un’altra chicca da museo, Un altro ricordo è un cimelio, un biglietto di invito alla cerimonia inaugurale degli Europei del 1974 con la firma di Pietro Mennea. “Lui è stato il campione del popolo. Le persone lo amavano, era per loro un modello e un esempio di riscatto sociale. La sua non è stata solo un’impresa sportiva“. il presidente della Fidal Stefano Mei ha ricordato che gli sembrava “una roba assurda” essere compagno d’azzurro di Mennea aggiungendo “Non riesco ancora a pensare all’atletica senza Pietro” , e Stefano Tilli ha rivelato che Pietro spegneva la luce sempre tardi per tener dietro ai libri.

Una domenica a Tokyo alle fine della stagione 1980, mentre suoi colleghi e compagni di squadra andavano per sushi, chi per gadget tecnologici non ancora arrivati in Italia, Pietro Mennea trascurò tutto e si fece aprire lo stadio per allenarsi anche quel giorno poichè il giorno dopo doveva affrontare la gara dei 200. La vinse in 20.03, a fine stagione, a livello del mare: ha avuto ragione lui. L’uomo e l’atleta che solo con il “sacrificio” è diventato il Mennea che è stato, che è, e che sarà. Nel suo museo e nel ricordo sportivo di tutti gli italiani che amano lo sport e chi indossa la maglia azzurra.

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