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29 Settembre 2023 05:36
29 Settembre 2023 05:36

ILVA. Del Vecchio “Io avrei partecipato a una cordata, ma condotta da una grande azienda che ha esperienza”

Fondatore Luxottica: "me l'hanno chiesto, ma serve grande azienda". La può prendere solamente una grande azienda che fa quel tipo di lavoro, ha ribadito, sempre che riesca a gestirla, perchè l'Italia è diversa dalla Germania. In Italia purtroppo comandano i politici ed è difficile per un investitore

 

CdG ilva_ingressoL’agenzia di stampa internazionale Reuters ha rivelato nei giorni scorsi che al momento sono due le possibili alleanze per l’acquisizione di ILVA: una che fa riferimento all’italiana Arvedi, dell’omonima famiglia, l’altra ai turchi di Erdemir. Una fonte citata dall’agenzia ha detto che Arvedi “è affiancata da Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, a cui fa capo Luxottica“. Ma Leonardo Del Vecchio, azionista di riferimento di Luxottica rispondendo a proposito delle indiscrezioni sulla sua possibile partecipazione a una cordata con Arvedi per il salvataggio dell’ILVA. ha spiegato che “Io avrei partecipato a una cordata, ha spiegato, facendo anche riferimento alle origini pugliesi della sua famiglia, ma deve essere condotta da una grande azienda che ha esperienza“.

 Del Vecchio Luxottica
nella foto, Del Vecchio proprietario di Luxottica

C’è bisogno di un grande gruppo internazionale del settore come capofila“, ha sottolineato l’imprenditore a margine dell’assemblea di Luxottica, e Arvedi non basta perchè l’ ILVA “era un’azienda che viveva quando faceva 9 milioni di tonnellate, ora ne fa la metà non sarà facile riportarla a 9 milioni. La può prendere solamente una grande azienda che fa quel tipo di lavoro, ha ribadito, sempre che riesca a gestirla, perchè l’Italia è diversa dalla Germania. In Italia purtroppo comandano i politici ed è difficile per un investitore“.

Del Vecchio ha quindi ricordato che “lo Stato non può nazionalizzarla perchè l’Europa non glielo permetterebbe: le persone che dovrebbero essere interessate a salvare questa azienda sono i politici, ma gli stessi amministratori, ha concluso, sono i primi che sarebbero contro se dovesse arrivare una grande azienda“.

Fabio Riva e Alberti a processo per frode fiscale

Fabio Riva, ex vicepresidente dell’ILVA spa , attualmente agli arresti domiciliari per problemi di salute dopo la detenzione nel carcere di Taranto, è stato mandato a processo davanti alla prima sezione del Tribunale di Milano per un presunto omesso versamento delle imposte sui redditi 2007-2012 in relazione alla “ILVA sa”, una società svizzera partecipata dal gruppo siderurgico proprietario dell’altoforno di Taranto. Con lui è stato rinviato a giudizio, per citazione diretta, anche Agostino Alberti, l’ex consigliere delegato di ILVA spa fino al 2012 e amministratore di fatto della società svizzera, di cui sarebbe stato l’ideatore.

La scorsa settimana  ha preso il via il dibattimento a carico dei due dinnanzi al Tribunale di Milano. Dibattimento che è subito stato rinviato al prossimo 14 settembre per un difetto di notifica. Secondo il capo d’imputazione, ILVA spa commercializzava i tubi metallici attraverso “ILVA sa”, una società in realtà solo “fittizia”, che si interponeva tra l’azienda italiana e i clienti finali e che tratteneva quindi i redditi prodotti dall’attività commerciale in Svizzera. In altri termini “ILVA sa” sarebbe una società “esterovestita” e per questo motivo avrebbe dovuto pagare le tasse in Italia.

ILVA sa” avrebbe prodotto utili pari a circa 39 milioni di euro negli anni oggetto dell’indagine, su cui ha pagato tasse in Svizzera per l’equivalente di 9,3 milioni di euro circa. Soldi che sarebbero spettati, secondo la procura di Milano, all’ Erario italiano. “ILVA sa” era entrata anche in un altro processo, sempre davanti al Tribunale di Milano, a carico di Fabio Riva ed Agostino Alberti. I manager erano accusati, in quel caso, di associazione per delinquere finalizzata truffa ai danni dello Stato per i finanziamenti ex legge Ossola della società pubblica Simest . Riva era stato condannato a 6 anni e mezzo di carcere in primo grado, con la pena confermata anche in Corte d’Appello. Ad Alberti furono inflitti 3 anni di reclusione, confermati anche in secondo grado. Era stata disposta anche la confisca di 91 milioni di euro e la provvisionale da 15 milioni di euro a favore del Ministero dello Sviluppo economico

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