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1 Maggio 2024 22:16
1 Maggio 2024 22:16

Arrestato ai Caraibi il catanese Corallo “re” delle slot machine

Un vortice di quasi 300 milioni di euro trasferito dall'Italia alle Antille. Ricostruito l'acquisto della casa di Montecarlo da parte dell'ex cognato di Gianfranco Fini. I soldi venivano dai conti di Corallo

 

Da questa mattinata lo Scico il  Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza sta eseguendo numerosi arresti anche all’estero, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, nei confronti di una associazione a delinquere internazionale che riciclava in tutto il mondo i proventi del mancato pagamento delle imposte sul gioco on-line e sulle video-lottery (VLT).
Tra gli arrestati figurano il  catanese Francesco Corallo, 56 anni principale imprenditore internazionale delle slot machine e re dei casinò, che è stato  rintracciato ed arrestato nella sua lussuosa villa di Saint Marteen, nelle Antille Olandesi ai Caraibi, figlio di Gaetano Corallo, ritenuto legato alla famiglia mafiosa del clan Santapaola.
L’operazione dello Scico di Roma della Guardia di Finanza ha portato a  numerosi arresti anche all’estero, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Roma, oltre a  perquisizioni e sequestri di numerosi beni e conti correnti per centinaia di milioni di euro in numerosi Stati (Antille Olandesi, Regno Unito, Canada, Francia).
Un sistema di scatole cinesi, società costituite e sparse in giro per il mondo, in prevalenza nei più noti paradisi fiscali, con, un fiume di di denaro che sfiora i 300 milioni di euro, passato dalle società del gioco gestite da Francesco Corallo e finito all’estero. Tutto per sottrarlo al fisco e alle casse dello Stato.

L’indagine, coordinata dal procuratore Giuseppe Pignatone, (a sinistra nella foto) dall’aggiunto Michele Prestipino e dal pm Barbara Sargenti, grazie al prezioso e certosino lavoro di indagine dello Scico, è arrivata al primo giro di boa davanti al gip del tribunale di Roma Simonetta D’Alessandro, nasce da un filone investigativo della Procura di Milano, sulla Banca Popolare di Milano sotto la presidenza di Massimo Ponzellini, anche lui in affari con Corallo insieme al quale avrebbe messo in piedi una vera e propria associazione dedita alla corruzione di chiunque potesse in qualche modo influire sugli affari del ‘re Mida’ del gioco.


Corallo, che aveva  sbaragliato la concorrenza
dai Casino alle Antille  lanciandosi n Italia dell’affare “slot”, con un gruppo di manager italiani e stranieri e il “fidato” Laboccetta,  è indagato per associazione per delinquere, peculato e riciclaggio di 85 milioni di euro, ovvero i tributi dovuti dall’Atlantis world group of companies e della BPlus Giocolegale Ltd, società offshore aggiudicataria della gestione telematica dei giochi, omettendo  sistematicamente di versare la percentuale dovuta allo Stato. Che Corallo fosse consapevole di aver messo in piedi un sistema “perfetto” lo conferma il contenuto delle intercettazioni. “Bisogna eliminare gli importi del Preu  che stiamo trattenendo illegalmente”(cioè i tributi erariali), messaggiava Corallo al suo socio.
Laboccetta parlamentare del Pdl fino al 2013 che è stato ammanettato a Napoli e trasferito in carcere a Roma, era il rappresentante per l’Italia di Bplus-Atlantis, già indagato per favoreggiamento a Milano, è tuttora tra i dirigenti di Forza Italia in Campania, aveva come sponda anche Marco Milanese l’ex-deputato e braccio destro del Ministro Giulio Tremonti (ed ancora prima colonnello della Guardia di Finanza) , che avrebbe rappresentato e sostenuto la “banda Corallo” all’atto del rinnovo delle gare per le concessioni.
Avendo una solida “protezione” politica nel centrodestra (quando governava)  in Parlamento e nella illusione che i suoi messaggi inviati sul Blackberry non venissero intercettati, Corallo dava direttive e impartiva spostamenti estero su estero per milioni di euro. Decisivo (ma di fatto neutralizzato) anche lo sbarramento messo in piedi  da una gruppo di avvocati, uno di questi Carmelo Barreca, nella chat segreta veniva soprannominato  come “peripoccu“, cioè piede di porco, probabilmente in quanto in grado di scardinare i vincoli  legali e giudiziari che Corallo viveva scomodamente.

 

 

 A partire dal 2004 ed il 2007, e poi fino al 2014, 50 degli 85 milioni di evasione fiscale, sarebbero finiti su conti correnti esteri di banche olandesi, ed inglesi intestati altre società del gruppo Corallo e dopodichè trasferiti su un conto corrente di società offshore aperto nel paradiso fiscale delle Antille Olandesi a Saint Maarten , sempre nel totale utilizzo di  Francesco Corallo.  Successivamente sarebbero poi spariti dall’Atlantis altri 150 milioni, attraverso uno scambio di liquidità,  transitati da conti accesi in Gran Bretagna ed Shanghai e destinati ad altri conti bancari ubicati Saint Maarten, Curaçao, Santa Lucia e successivamente reinvestiti in attività immobiliari a Saint Maarten.  I soldi venivano trasferiti dalla società Atlantis, alla Global Starnet e poi ancora alla GPlus.
L’organizzazione che aveva messo in piedi anche  una serie di società “cartiere”, cioè predisposte e specializzate nell’emissione di fatture false, che aveva base a Roma, al quartiere Parioli, e della quale facevano parte anche alcuni pregiudicati,  Alle oltre 100 società “cartiere”  aperte e chiuse in pochissimo tempo, come hanno accertato i finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria ,  si è rivolto nel tempo anche un numero molto elevato di società distribuite e presenti  in tutt’Italia, dal Piemonte alla Sicilia, tutte interessate ad ottenere illegalmente dei risparmi fiscali e per accumulare “fondi neri”. Società che operano prevalentemente nei settori dell’edilizia, della logistica e del facchinaggio; alcune persino  cooperative di servizi.
nella foto Giancarlo Tulliani mentre lavava la sua Ferrari a Montecarlo
 Il denaro sottratto al fisco da Corallo attraverso i conti di Giancarlo e anche di Sergio Tulliani sarebbe passati 2 milioni e 400 mila euro, come hanno ricostruito i magistrati e i finanzieri.  Il terzo invio era indicato come “liquidation foreign assets – decree 78/2009, 2.4M Euro”. Ovvero, per gli investigatori, un preciso riferimento al decreto che ancora una volta andava incontro alle esigenze di Corallo, capace, come scrive il giudice di mettere insieme un castello per la gestione dei videoterminali per il gioco praticamente “a costo zero”.
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