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29 Marzo 2024 14:10
29 Marzo 2024 14:10

Bari, 11 milioni di euro sequestrati all’ex avvocato Chiariello: reddito da operaio ma onorari milionari

Gli ex clienti del penalista, successivamente diventati collaboratori di giustizia, hanno rivelato il suo tariffario per processi pilotati e scarcerazioni "facili". Lo scorso 22 febbraio al termine della requisitoria del processo con rito abbreviato a carico dei due e di altre sette persone la Procura della Repubblica di Lecce ha chiesto per De Benedictis una pena a 8 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione e per l'avvocato barese una pena a 8 anni, 5 mesi e 23 giorni

La Guardia di Finanza ha sequestrato all’ex noto penalista barese Giancarlo Chiariello beni per 10,8 milioni di euro con l’accusa di evasione fiscale, ha accertato che avrebbe intascato compensi per attività forense fino a 100mila euro per ogni cliente, dichiarando redditi annui tra i 26mila e i 60mila euro.

Nel corso dell’interrogatorio di garanzia dopo l’arresto per corruzione in atti giudiziari effettuato dai Carabinieri ed il rinvenimento a casa di suo figlio di zaini contenenti 1,1 milioni di euro in contanti, l’ormai ex-avvocato Giancarlo Chiariello aveva già riconosciuto come proprie le somme di denaro sequestrate, giustificandole ai finanzieri , come i risparmi derivanti dai pagamenti dei clienti per l’attività professionale prestata in vent’anni.

Giancarlo Chiariello ex-Avvocato del Foro di Bari

Sono stati dei suoi ex clienti diventati in seguito collaboratori di giustizia a rivelare che pagavano 10 mila euro di onorario al penalista per ciascuno procedimento, compensi che potevano arrivare a 100 mila euro per il patrocinio in Cassazione a fronte di un’accusa per omicidio. Pagamenti effettuati tutti in contanti in violazione della normativa antiriciclaggio e senza il rilascio di alcun documento fiscale secondo la ricostruzione della Guardia di Finanza.

La quantificazione delle imposte evase è stata possibile grazie all’ acquisizione e sequestro dell’elenco dei clienti dell’avvocato, tra i quali diversi pregiudicati alcuni dei quali diventati poi collaboratori di giustizia. E’ stato grazie alle loro dichiarazioni è stato possibile ricostruire il “tariffario” degli onorari del legale: tra i 4 e i 7 mila euro solo per accettare la nomina difensiva, 15 mila euro per un ricorso in appello, “su un omicidio ci volevano 100 mila euro” ha testimoniato Domenico Milella ex boss del “clan Palermiti” di Bari , 30 mila euro per una scarcerazione secondo le dichiarazioni di Danilo Pietro Della Malva, co-imputato a Lecce per le presunte tangenti all’ex gip.

Le successive verifiche patrimoniali disposte dal pm Giuseppe Dentamaro della Procura di Bari, hanno accertato e documentato redditi dichiarati tra i 26mila e i 60mila euro annui nel periodo tra il 2016 e il 2019, a fronte di una “effettiva capacità di spesa del nucleo familiare dell’indagato, risultata particolarmente elevata, come dimostrato dall’acquisto e dal possesso di auto di lusso, di gioielli e di consistenti disponibilità finanziarie derivanti da titoli di credito, obbligazioni, depositi e conti correnti“.

Il denaro incassato in nero dall’ex avvocato barese Giancarlo Chiariello per gli incarichi legali veniva parzialmente custodito in buste sottovuoto, in quanto destinato ad essere occultato altrove. Ne sono convinti i magistrati baresi che hanno disposto il sequestro preventivo di beni per oltre 10,8 milioni di euro, per il “rischio che le somme corrispondenti all’imposta evasa, invero ingenti, potrebbero essere disperse o distratte“.

Un anno fa l’ex penalista venne arrestato dalla Procura di Lecce per alcuni episodi di corruzione in atti giudiziari relativi a presunte tangenti versate all’ex gip di Bari Giuseppe De Benedictis per ottenere scarcerazioni di clienti, ed in casa di suo figlio vennero trovati dai Carabinieri durante una perquisizione soldi in contanti per circa 1,1 milioni di eurosuddivisi in tre zaini per agevolarne il trasporto e una parte sottovuoto per assicurarne la conservazione in caso di umidità”. La gip di Bari Valeria Isabella Valenzi, accogliendo la richiesta della Procura di Bari, ha ritenuto che il penalista tentasse di “sottrarre alle investigazioni” i “pagamenti in contanti ricevuti dai propri clienti nel corso del tempo che, per ovvie ragioni, non poteva depositare in banca“, come Chiarello stesso ha dichiarato in un interrogatori dinanzi ai magistrati inquirenti della Procura di Lecce.

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