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29 Marzo 2024 14:30
29 Marzo 2024 14:30

Pd: “Schlein leader imprevista?”

Del resto l’insieme delle forze che l’hanno sostenuta fino a farla vincere a sorpresa appare piuttosto variegato. Dalla sua si sono schierati quasi tutti i dirigenti della tradizione post-comunista, da Bersani a Bettini, da Orlando a Zingaretti. Un navigatore post-democristiano come Franceschini. E un discreto numeri di notabili in cerca di esiti inediti per le proprie fortune politiche.
di Marco Follini

Il leader imprevisto, quello che non ti aspetti, si rivela diverso forse anche da se stesso. Moro fu scelto a suo tempo come figura di prudente conservazione democristiana e operò la più ardita svolta a sinistra. Craxi fu voluto dai capi delle correnti socialiste che poi sbaragliò impietosamente, una dopo l’altra. E via elencando, da un’eccezione all’altra rispetto alle regole della più ovvia -ma più ingannevole- prevedibilità politica.

Potrà capitare anche a Elly Schlein. Che si presenta come una outsider, e magari potrà invece rivelarsi assai più prudente e circospetta. Che fa eco ad alcuni argomenti “grillini” ma si capisce che invece avrà l’intento di sottrarre consensi al M5S. Che appare come campionessa del radicalismo di sinistra ma forse -forse- piegherà verso direzioni più moderate (se la parola non offende). Esiti improbabili ma non impossibili di una sfida che sta appena cominciando a prendere forma.

Del resto l’insieme delle forze che l’hanno sostenuta fino a farla vincere a sorpresa appare piuttosto variegato. Dalla sua si sono schierati quasi tutti i dirigenti della tradizione post-comunista, da Bersani a Bettini, da Orlando a Zingaretti. Un navigatore post-democristiano come Franceschini. E un discreto numeri di notabili in cerca di esiti inediti per le proprie fortune politiche. Una parte di questo elettorato cerca di esplorare vie nuove, ma un’altra si intuisce che sia piuttosto incline a percorrere il viale delle rimembranze.

E già qui si apre una sottile linea di faglia nel territorio della nuova segretaria. Che per un verso dovrà cercare appoggi nella nomenklatura di partito anche per rimontare il suo svantaggio numerico presso la platea degli iscritti. E per un altro verso invece vorrà fare del suo meglio per rivendicare la propria indipendenza da tutti i padrinaggi politici che le vengono offerti e per corrispondere al suo meglio a quello che possiamo chiamare il popolo sparso dell’on line.

Insomma, è assai probabile che la nuova leader del Pd cavalcherà quella che un tempo si sarebbe chiamata la radicalizzazione della lotta politica. Tanto più che dall’altra parte di questa barricata si staglia una maggioranza di destra abituata a praticare (con maggior fortuna) lo stesso gioco. Ma probabile non vuol dire certo, e dunque sarà il caso di seguire le cronache senza troppo pregiudizio, stando a vedere se per caso non prenderà piede, prima o poi, uno schema meno rigido e prevedibile di quello che tutti danno (e diamo) per scontato.

Quello che è certo, però, è che il rumore di sottofondo che ha accompagnato la marcia di Schlein verso il Nazareno sembra evocare un ripensamento della natura politica più profonda del Pd. Partito che è stato in tutti questi anni una sorta di architrave del sistema politico. Mettendo al primo punto della sua agenda la propria collaudata professionalità politica. E offrendosi come la proiezione di una più ampia classe dirigente abituata a esercitare una responsabilità prudente e quasi felpata.

Il Pd è stato il partito dei conti in ordine, dell’europeismo, dell’atlantismo. Il partito delle istituzioni. Detentore di un’antica sapienza politica, secondo i suoi estimatori. E magari rinchiuso nei confini delle ztl, secondo molti suoi critici. Il partito del Quirinale, se così si può dire. Non perché gli ultimi presidenti, Napolitano e Mattarella, vi avessero ancora “politicamente” a che fare. Ma perché veniva spontaneo aderire a una sorta di implicito e discreto codice presidenziale. Così da concorrere nel 2011 alla formazione del governo Monti. E qualche anno dopo, quasi analogamente, alla formazione del Conte 2 giallorosso e poi della variegata coalizione che avrebbe sostenuto la fatica di Mario Draghi.

Ora, di tutte queste scelte una parte del Pd s’era già pentita a suo tempo, promettendo di non vestire mai più panni di governo senza la spinta elettorale. Ed è assai probabile che anche Schlein la pensi così. Difficile del resto che una simile circostanza possa prodursi in futuro. Resta il fatto che anche la lettura del passato recente e meno recente darà il suo contributo a sciogliere gli enigmi del futuro. Affidando alla nuova leader un compito (e un’incognita) in più

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