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4 Maggio 2024 00:56
4 Maggio 2024 00:56

La Cassazione respinge l’istanza di ricusazione dei giudici avanzata da Palamara. La sentenza della Corte

Per il collegio dei difensori di Palamara sono stati "violati i principi della Cedu sulla imparzialità dei giudici che fanno parte della stessa associazione sistematicamente ostile a Palamara con il rischio di condizionamento dell'attività dei giudici". ALL'INTERNO LA SENTENZA DELLA SUPREMA CORTE

La Corte di Cassazione ha confermato il rigetto del ricorso presentato dai difensori di Luca Palamara, già affrontato e deciso dalla Corte di appello di Perugia con cui si chiedeva la ricusazione nei confronti dei giudici nel processo che lo vede imputato per corruzione, in quanti iscritti all’Anm. Per il collegio dei difensori di Palamara, con la sentenza n.44436 sono stati “violati i principi della Cedu sulla imparzialità dei giudici che fanno parte della stessa associazione sistematicamente ostile a Palamara con il rischio di condizionamento dell’attività dei giudici“. I supremi giudici della Corte invece non sono d’accordo , secondo cui ”il fatto che l’Anm abbia deliberato l’espulsione di Luca Palamara e che ciò sia avvenuto all’esito di un’assemblea generale non costituisce di per sé la dimostrazione di un fatto inficiante la presunzione di imparzialità dei singoli magistrati, chiamati a giudicare nell’ambito di un procedimento penale“.


“La questione si sarebbe potuta porre qualora fosse risultato che i giudici ricusati avessero preso parte e votato l’espulsione di Palamara – si legge nelle motivazioni della sentenza – ma in tal caso il motivo di ricusazione andava ravvisato non tanto nell’esistenza di un interesse al procedimento, quanto nell’aver manifestato li proprio convincimento, sia pur su fatti non del tutto coincidenti con l’oggetto dell’imputazione, al di fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie. Tale evenienza, tuttavia, non è stata neppure dedotta dal ricorrente, sicché deve ritenersi che i giudici ricusati non hanno avuto alcun ruolo nella vicenda associativa che ha coinvolto Palamara. Al netto di quanto detto, pertanto, il motivo di ricusazione rimane circoscritto alla comunanza di interesse non patrimoniale che, tuttavia, nel caso di specie si configura come un generico interesse di natura ideologica, in quanto concernente l’affermazione di principi di rango costituzionale, rispetto ai quali non è neppure ipotizzabile una esclusiva riferibilità all’Anm, ovvero ai singoli magistrati in quanto tali, anche se aderenti alla predetta associazione”.

Applicando tali principi al caso di specie, ne consegue che l’imparzialità dei giudici iscritti all’Anm non può essere esclusa sulla base del mero riscontro del dato formale costituito dall’adesione all’associazione, dovendosi vagliare se in concreto, sulla base delle dimensioni dell’associazione, delle funzioni svolte, dell’eventuale incidenza sull’attività degli iscritti, sull’esistenza di vantaggi rilevanti derivanti dall’iscrizione, si possa determinare un effettivo vulnus rispetto al principio di terzietà. Tale
valutazione
– sottolinea la Cassazioneè stata compiuta dalla Corte di appello che da un lato ha escluso qualsivoglia possibilità che i soci dell’Anm traggano un vantaggio personale dall’accoglimento dell’azione risarcitoria – concludono i supremi giudici– e, al contempo, non ha individuato alcun elemento ulteriore sulla cui base ritenere che il mero dato formale dell’essere soci di una associazione di categoria possa alterare li criterio di giudizio nel processo a carico dell’odierno ricorrente“. Dalla Suprema Corte è arrivato anche il diniego alla richiesta della difesa al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

Marilena Rizzo presidente del Tribunale di Firenze,

La Suprema corte con la propria sentenza n. 34380/2022 ha accolto il ricorso del pubblico ministero che chiedeva di rivedere la sentenza (n. 51/2022) con la quale la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha assolto la presidente del tribunale di Firenze, Marilena Rizzo aderente ad Unicost, dall’accusa contestatale di aver violato “i doveri di correttezza ed equilibrio” sulla base delle accuse conseguenti alle chat scambiate con l’ex Pm Palamara, nelle quali, secondo l’incolpazione, interloquiva per alcune nomine riguardanti incarichi semidirettivi interni al suo ufficio. Indicando, sempre secondo le accuse, magistrati “appartenenti alla corrente o comunque magistrati a lei graditi”.

Secondo il Csm un paio di “segnalazioni” andavano interpretate come un contributo qualificato dovuto alla conoscenza di due candidati per un lavoro prestato nello stesso ufficio della dottoressa Rizzo. E, pur considerata l’inopportunità del canale utilizzato, la sentenza impugnata “ha negato che risultasse attinta la soglia della grave scorrettezza” anche relativamente ai giudizi che avevano riguardato altre toghe. Oggi la Corte Cassazione si rivolge ai probiviri del Csm chiedendo di integrare la motivazione, considerando anche il ruolo rivestito dall’incolpata, e alla luce dei principi affermati dalle Sezioni unite con la sentenza 22301/2021, relativa alla configurabilità dell’illecito disciplinare “con riguardo a condotte volte al discredito di possibili aspiranti alla direzione di uffici giudiziari o a concertare, per soddisfare interessi personalistici, chi debba ricoprire tali incarichi“.

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