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28 Marzo 2024 23:02
28 Marzo 2024 23:02

Operazione SABR. Sentenza di condanna per 13 imputati emessa dalla Corte di Assise di Lecce.

L’indagine sugli schiavi delle angurie e dei campi di pomodori salentini nacque nel 2009 su iniziativa dei Carabinieri del ROS guidati dal colonnello Paolo Lorenzoni sotto il coordinamento del sostituto procuratore Elsa Valeria Mignone della Procura di Lecce

ROMA – La Corte di Assise di Lecce presieduta da Roberto Tanisi ha pronunciato ieri una sentenza “storica” condannando 13 imputati e riconoscendo il reato di riduzione in schiavitù di lavoratori stranieri commesso anche da imprenditori italiani. Sono stati ritenuti, infatti, colpevoli imprenditori italiani e caporali stranieri, condannati a pene tra 3 e 11 anni di reclusione per associazione per delinquere e riduzione in schiavitù.

L’indagine sugli schiavi delle angurie e dei campi di pomodori salentini nacque nel 2009 su iniziativa dei Carabinieri del ROS guidati dal colonnello Paolo Vincenzoni  sotto il coordinamento del sostituto procuratore Elsa Valeria Mignone della Procura di Lecce che approfondirono alcune segnalazioni provenienti da un centro di accoglienza in Puglia dove erano ospitati immigrati africani.

La sentenza ha, quindi, giudiziariamente accertato che gli imprenditori italiani condannati hanno sfruttato e ridotto in schiavitù centinaia di migranti del c.d. “Ghetto di Nardò”, in provincia di Lecce, impegnati nella raccolta di angurie e pomodori nelle campagne salentine, poi finite nei grandi centri commerciali della Lombardia e dell’Emilia Romagna, ottenendo un ingente guadagno attraverso l’utilizzo di manodopera sottopagata. Per questo la Corte d’Assise del capoluogo pugliese ha condannato 13 persone a pene comprese tra i 3 e gli 11 anni di reclusione. Sono stati ritenuti colpevoli Pantaleo Latino, il referente dell’organizzazione secondo i giudici, Marcello Corvo, Livio Mandolfo e Giovanni Petrelli, tutti noti imprenditori agricoli salentini.

La Corte ha ritenuto che siano tutti responsabili di riduzione in schiavitù e associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento dei lavoratori. Solo per questo capo d’imputazione è stato invece condannato a 3 anni Marcello Corvo, insieme a uno dei caporali. Per gli altri otto stranieri imputati, la pena è di 11 anni di reclusione. La pubblica accusa aveva chiesto la condanna a 14 anni per Latino e a 9 per gli altri imprenditori. Pene tra i 14 e i 17 anni per caporali e capisquadra” tunisini e algerini, oltre a Saber Ben Mahmoud Jelassi detto Sabr, che diede il nome all’indagine condotta nel triennio, che avrebbero materialmente gestito i gruppi di lavoratori stranieri.

L’operazione Sabr portò a 22 arresti in dieci province del Mezzogiorno. “Ora quelli te li sfianco fino a questa sera…”, si ascoltava in una delle intercettazioni disposte dagli investigatori. Secondo quanto ricostruito dalla procura, da un lato c’erano gli imprenditori italiani che pretendevano condizioni di lavoro disumane, dall’altro centinaia di disperati africani ‘reclutati’ al loro arrivo in Sicilia. Di mezzo, un sistema gerarchico oleato, fatto di ‘capi cellula’ e ‘capi squadra’, quasi sempre, anche loro, extracomunitari.

Ventidue furono le misure cautelari emesse dal gip di Lecce Carlo Cazzella, su richiesta della DDA, la Direzione distrettuale antimafia di Lecce. Otto furono quelle eseguite nella provincia di Lecce, mentre il resto dei provvedimenti fu operato nelle province di Bari, Pisa, Caserta, Reggio Calabria, Palermo, Agrigento, Siracusa e Ragusa.

Al vertice della piramide dello sfruttamento c’erano i datori di lavoro salentini, cui si affiancavano cassieri , capisquadra e caporali, . I datori di lavoro sono gli imprenditori e proprietari terrieri. Undici anni, in particolare, la condanna per Pantaleo Latino, detto “Pantalucci”, 59enne di Nardò, il referente per tutti, costantemente in contatto con il reclutatore Saber Ben Mahmoud Jelassi. identica  pena per Livio Mandolfo, 50enne di Nardò, Giovanni Petrelli, 54enne di Carmiano al quale si rivolgevano gli imprenditori in cerca di uomini da utilizzare come bestie nei campi.

 

 

Undici anni di condanna anche ai caporali Ben Abderrahma Jaouali Sahbi, 47 enne, Bilel Ben Aiaya, 33 enne; i cittadini sudanedi Saed Abdellah, detto Said, 30 anni; Meki Adem, 56 anni; Nizqr Tanjar, 39enne; Tahar Ben Rhouma Mehadaoui detto Gullit e l’algerino Mohamed Yazid Ghachir. Tre anni per Marcello Corvo, assolto dall’accusa di riduzione in schiavitù. Assoluzione, invece, per Salvatore PanoCorrado Manfredi e Giuseppe Mariano, di Scorrano

Nel processo si sono costituiti parti civili  otto braccianti e fra di loro c’è anche Yvan Sagnet, leader dello sciopero dei braccianti stranieri ribellatisi nell’estate del 2011 allo sfruttamento), i sindacati  Cgil, e  Flai Cgil  assistiti dall’avvocato Viola Messa, la Camera del lavoro, l’associazione “Finis terrae”, oltre la Regione Puglia assistita dall’avvocato Anna Grazia Maraschio.

 

Il reato di caporalato, normato dall’articolo 603 ter fu introdotto nel Codice penale nell’estate 2011. Pur contestato dalla Procura di Lecce non è stato valutato dalla Corte d’Assise perché i fatti contestati risalgono agli anni tra il 2009 e il 2011. L’indagine partì da una iniziativa dei Carabinieri del ROS che intesero far luce sulle condizioni di vita dei braccianti stranieri che occupavano masseria Boncuri, trasformata in una baraccopoli nelle campagne attorno a Nardò dove erano ammassati centinaia di extracomunitari in condizioni di enorme degrado.

 

 
 

 

Venne decapitata l’intera filiera dello sfruttamento dei lavoratori stranieri, dai caporali “reclutatori” agli imprenditori, che avevano costituito una efficiente organizzazione suddivisa in ruoli e gerarchie che da anni gestiva la raccolta delle angurie e pomodori a Nardò, il secondo centro più grande della provincia salentina. Una organizzazione criminale transazionale, costituita da italiani, algerini, tunisini e sudanesi, attiva anche a Rosarno e in altre parti del Sud Italia. La motivazione della sentenza prevista nei prossimi 3 mesi costituirà un punto di riferimento per orientare le indagini sul fenomeno anche per le condanne a carico degli imprenditori italiani.

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