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26 Aprile 2024 00:06
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Fu Giuseppe Conte a forzare le regole sul “caso Barr” ? Sembrerebbe proprio di si.

L’Attorney General americano William Barr non era venuto a Roma per catturare un terrorista, o per evitare un attentato, o al limite arrestare un boss mafioso responsabile di crimini negli Stati Uniti, essendo stato inviato da Trump a Roma per una "missione politica" che lo potesse aiutare e sostenere elettoralmente. Conte è persona troppo attenta per non averlo intuito, e quindi resta da capire come si sia prestato a questo assurdo uso "personale" dei servizi italiani.

La decisione di forzare le regole di sicurezza nazionale venne presa da Giuseppe Conte, nonostante le forti resistenze del Ministero degli Esteri e dei vertici dei due “servizi” italiani, l’ Aise e l’ Aisi. Questa è la conclusione conseguenziale alla ricostruzione dei fatti del quotidiano La Repubblica, che dovrebbe spingere il Copasir a riaprire l’indagine, proprio mentre il presidente Adolfo Urso avrebbe in programma una visita a Washington a giugno.

L’ Attorney General americano William Barr si era rivolto all’ambasciatore Armando Varricchio, per informarlo sul “Russiagate” chiedendo un incontro insieme al procuratore John Durham con i servizi italiani. L’ambasciatore Varricchio aveva immediatamente informato il ministro degli Esteri (all’epoca dei fatti) Enzo Moavero Milanesi, ed i vertici diplomatici della Farnesina avevano frenato, ritenendo che la richiesta dovesse passare attraverso il Ministero della Giustizia. L’ambasciatore a quel punto informò la Presidenza del Consiglio ed il premier in carica, Giuseppe Conte aveva deciso di occuparsi personalmente del caso, affidandolo al direttore del Dis Gennaro Vecchione, che lui stesso aveva nominato alla guida del coordinamento dei servizi di intelligence italiana. Fu così che si arrivò al viaggio- visita di Barr a Roma il 15 agosto, a cui fece seguito la cena nel lussuoso ovattato ristorante “Casa Coppelle“.

Giuseppe Conte e Gennaro Vecchione

Quando il 27 settembre Barr tornò in Italia, per raccogliere le informazioni richieste a Ferragosto, Vecchione aveva chiesto di partecipare all’incontro ai rispettivi direttori di Aise e Aisi, il generale (Guardia di Finanza) Luciano Carta ed il generale ( Arma dei Carabinieri) Mario Parente. Entrambi si erano opposti, ritenendo che il canale seguito non fosse corretto, ed il capo del Dis Vecchione aveva addirittura emesso un ordine scritto per costringerli a venire obbedendo ad un ordine gerarchico.

Carta e Parente a quel punto furono costretti ad obbedire a Vecchione, ma si erano limitati a dire che non avevano nulla da aggiungere. Quindi era stato spiegato al procuratore Durham che se voleva interrogare Joseph Mifsud, professore maltese della Link Campus University sospettato di essere all’origine del “Russiagate”, doveva seguire il canale giudiziario, presentando la richiesta che avrebbe dovuto inoltrare dal principio. Siccome il professore Mifsud non era sotto il “controllo” dei servizi italiani, per cercarlo ed arrestarlo serviva l’ordine della magistratura. Infatti Durham a quel punto inoltrò la richiesta, che però rimase inevasa, in quanto non conteneva delle prove o ipotesi di reato attendibili. I servizi italiani spiegarono che non sapevano dove si trovasse Mifsud, e che l’ultimo suo recapito conosciuto era quello di una villetta fra Abruzzo e Marche dove si sarebbe nascosto.

Nel caso questa ricostruzione venisse confermata, si solleverebbero diversi chiarimenti da rivolgere all’ex premier Conte, che sostiene di non aver mai incontrato Barr, ma per avere certezza delle sue dichiarazioni bisognerebbe quanto meno appurare l’agenda dell’ Attorney General americano Barr nella visita di settembre, quando in base ai documenti ufficiali del suo Dipartimento era partito per Roma alle 7 del mattino del 26 ed era andato via alle 10 del 28. Sarebbe molto poco credibile che abbia trascorso circa 36 ore a Roma solo per incontrare Vecchione.

una delle salette riservate del ristorante Casa Coppelle

Conte per difendersi sostiene che non era a conoscenza della cena al ristorante Casa Coppelle e Vecchione aveva spiegato che si era trattato soltanto di mera cortesia istituzionale. Volendo credere che sia così, a dire il vero resta una circostanza molto singolare per dei professionisti dell’intelligence.
L’ex premier grillino afferma di aver aperto le porte a Barr in quanto responsabile dell’Fbi, impegnato in uno scambio tra agenzie sulla sicurezza nazionale, ma in realtà i fatti contraddicono apertamente questa imbarazzante versione, come si evincere dalle reazioni di Carta e Parente. L’Attorney General Barr non era venuto a Roma per catturare un terrorista, o per evitare un attentato, o al limite arrestare un boss mafioso responsabile di crimini negli Stati Uniti, essendo stato inviato da Trump a Roma per una “missione politica” che lo potesse aiutare e sostenere elettoralmente. Conte è persona troppo attenta per non averlo intuito, e quindi resta da capire come si sia prestato a questo assurdo uso “personale” dei servizi italiani.

L’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump

L’ex premier Conte incalzato sostiene che la visita di Barr non aveva come oggetto un’ipotesi di cooperazione giudiziaria, e quindi sarebbe stato improprio indirizzarlo al suo omologo. Una versione che però viene smentita dalla richiesta inoltrata successivamente da Durham, il quale ha chiesto alle nostre autorità giudiziarie e di polizia di interrogare Mifsud, ma la sua domanda non è stato accolta perché non reggeva la giustificazione di quella richiesta. Conte aggiunge che Barr indagava sugli agenti americani, non su quelli italiani, ma in realtà lo dice per smentire Renzi, che lo accusa di averlo esposto all’inchiesta Usa per tornaconto politico personale, e così facendo apre un’ altra questione.

Il premier in carica all’epoca dei fatti, e cioè “Giuseppi” (come lo chiamava Donald Trump) L’ex premier dice che la visita di Barr non aveva come oggetto un’ipotesi di cooperazione giudiziaria, e perciò sarebbe stato improprio indirizzarlo al suo omologo. Ciò però è smentito dalla pratica inoltrata successivamente da Durham, che ha chiesto alle nostre autorità giudiziarie e di polizia di interrogare Mifsud, ma non è stato accontentato perché la domanda non reggeva. Conte inoltre sostiene che Barr indagava sugli agenti americani, non italiani.

Presumibilmente lo fa per smentire Renzi, che lo accusa di averlo esposto all’inchiesta Usa per un mero tornaconto politico personale, ma così facendo si apre un’ altra questione. Il premier infatti avrebbe autorizzato l’ incontro con i i servizi italiani per ricevere informazioni compromettenti sui colleghi dell’Fbi, come il capocentro dell’ FBI a Roma Michael Gaeta, con il quale i gli agenti dei nostri “servizi” dovevano lavorare ogni giorno per garantire realmente la sicurezza del nostro Paese.

La motivazione per cui il Copasir ha deciso di non porre queste domande non è molto chiaro. Il presidente Adolfo Urso ha già preso appuntamento per visitare i colleghi della Camera Usa a giugno, ma forse non vuole arrivare a Washington sulla scia della riapertura del caso, considerando quanto sta accadendo in America, rischiando che emerga il contrario, anche perché il Congresso americano a guida democratica sta ricercando la verità sull’assalto del 6 gennaio, con i potenziali collegamenti di “Russiagate” e “Italygate“.

E’ opinione diffusa negli ambienti dell’ intelligence e della sicurezza italiana che l’intera vicenda “Russiagate” sia stata determinante nella decisione di Mario Draghi, appena nominato a Palazzo Chigi, di sostituire Vecchione che aveva ricevuto una proroga del suo incarico dal suo “sponsor” Giuseppe Conte prima che lasciasse la poltrona di premier. Ma non solo. Vecchione paga principalmente il suo incontro con Barr, e la gestione dell’incontro dell’ex capo reparto del Dis Marco Mancini (che è stato “pensionato” proprio per quell’incontro) a dicembre 2020 in un autogrill autostradale con Matteo Renzi.

“Penso che nelle sedi istituzionali deputate al controllo dei servizi si possa giungere a definire i reali contorni, le dinamiche e i contenuti della vicenda trattata dai media – ha dichiarato all’Ansa l’ex capo reparto del Dis – essere individuato, riconosciuto e mostrato in televisione senza che vi fosse una mia immagine pubblica dal 2005 è inquietante e sconcertante. Peraltro, in quell’occasione, stavo facendo un semplice saluto pre-natalizio a un senatore della Repubblica italiana. Immagino con grande soddisfazione dei servizi segreti russi”.

Quest’ultimo particolare è stato approfondito da Mancini:Se fosse accertato con sentenza definitiva che Walter Biot ha trafugato segreti dal patrimonio informativo italiano a favore dell’intelligence russa, ciò sarebbe la conferma della continua attività clandestina che gli agenti di Mosca svolgono attivamente tutt’ora, e sottolineo tutt’ora, sul nostro territorio nazionale”.

Ma Vecchione ha pagato anche per ritardi nella creazione dell’agenzia per la Cybersicurezza che, non a caso, è il primo punto affrontato dal sottosegretario ai servizi Franco Gabrielli, scelto personalmente da Draghi, insieme al nuovo capo del Dis, Elisabetta Belloni ex segretario generale della Farnesina. Lacuna colmata, e questa struttura è diventata “fondamentale”, come sta confermando il proprio importante ed efficace lavoro per la crisi ucraina.

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