Trent’anni di visione securitaria della giustizia di Piercamillo Davigo condannato, adesso ufficialmente “pregiudicato” come scriverebbe il suo amico Marco Travaglio direttore del Fatto Quotidiano, gli si sono nuovamente rovesciati addosso. L’ ex magistrato che aveva ripetutamente contestato e criticato l’eccesso di impugnazioni da parte degli avvocati, ha visto respingere la sua quinta ripetuta impugnazione depositata dai suoi difensori, nel vano tentativo di sottrarlo dalla condanna per rivelazione di segreto relativa alla diffusione dei verbali sulla fanbtomatica inesistente “loggia Ungheria“.

“Non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti”, è la storica frase di Piercamillo Davigo, un “giacobino” della giustizia, nel senso dell’integralismo con il quale approcciava il suo lavoro e le vicende che riguardavano i politici. Diventa noto negli anni ’90 come pubblico ministero della procura di a Milano, nel pool “Mani Pulite”, il gruppo di magistrati che portò alla luce il sistema di tangenti noto come Tangentopoli. Da sempre sostenitore di una linea intransigente contro la corruzione, Davigo si è fatto notare per frasi come: “I politici onesti non si accorgono mai di nulla” o della già citata Non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti”, è la storica. Dopo Mani Pulite, è stato Consigliere di Cassazione, Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) dal 2016 al 2017, Consigliere del CSM nel 2018 (indicato dal Movimento 5 Stelle ).
La sua “disavventura giudiziaria” è legata al caso dei verbali segreti dell’avvocato Piero Amara, ex legale dell’ENI. Nel 2019–2020, Davigo riceve dal consigliere del CSM Marcello Cesari e poi da Paolo Storari (pm a Milano) i verbali segreti di Amara, contenenti accuse gravi e spesso ritenute infondate su una presunta loggia massonica segreta denominata “Ungheria”. Storari si sarebbe rivolto a Davigo lamentando l’inerzia dei suoi superiori e diffonde quei verbali in modo informale, senza seguire i canali ufficiali. I documenti finirono poi pubblicati dalla stampa. Per questo, nel 2023, viene rinviato a giudizio per rivelazione di segreto d’ufficio, perché avrebbe favorito la circolazione dei verbali riservati.


Riepiloghiamo la vicenda processuale: il Tribunale di Brescia nel 2023 lo aveva condannato a 1 anno e 3 mesi, descrivendo l’azione di Davigo come un gesto motivato da risentimento personale, volto a screditare l’ex collega Sebastiano Ardita, anch’egli membro del Csm ; l’ anno successivo (2024) la Corte d’appello di Brescia aveva confermato la sentenza di primo grado, dando una lettura differente: non un attacco personale, ma un’iniziativa mirata a gettare discredito sull’operato della Procura di Milano e su due consiglieri del Csm, Ardita e Marco Mancinetti, citati da Amara ( in seguito si scoprirà falsamente ) come appartenenti alla loggia.. Sentenza questa confermata nello stesso anno dalla Corte di Cassazione, che nel suo primo pronunciamento, aveva confermato la condanna individuando una terza possibile motivazione: la scarsa fiducia riposta da Davigo nella Procura Generale dell’epoca, che a suo giudizio non stava indagando con sufficiente rapidità sul caso.
Sentenza-Cassazione-DavigoUn giudizio però in parte rinviato in appello. Un nuovo collegio giudicante della Corte d’appello di Brescia l’ aveva ri-confermato quest’anno, ed ora la Suprema Corte ha dichiarato “inammissibile” il ricorso straordinario presentato dinnanzi alla Sesta sezione della Corte di Cassazione dai suoi avvocati Franco Coppi e Davide Steccanella, dopo la precedente condanna. Sono state cinque le impugnazioni presentate da Davigo , che però se l’è viste respingere tutte dai suoi ex-colleghi togati.
Un risultato imbarazzante per Davigo che aveva sempre additato le impugnazioni come uno dei principali problemi della giustizia italiana, e per chi, incredibilmente, proponeva l’oltraggio alla corte contro chi le avesse proposte pretestuosamente, o, ancora peggio, aveva proposto delle sanzioni pecuniarie per gli avvocati che avessero utilizzato ripetutamente le impugnazioni alle sentenze dei giudici.

Tre considerazioni da segnalare. Partiamo dalla prima: i ricorsi straordinari, come quello respinto a Piercamillo Davigo, costituiscono un misero 0,8 per cento di quelli inoltrati in Cassazione: esattamente quanto invece adottato da Davigo novello “impugnatore Doc”. La seconda considerazione: la notizia del ricorso respinto, l’altro ieri, è stata pubblicata soltanto dal Fatto Quotidiano, cioè proprio il giornale dove Davigo casualmente … scrive. Una strategia mediatica utile a far riprendere la notizia il giorno seguente, cioè oggi, con un scarso interesse giornalistico.
La terza considerazione è che in passato Davigo aveva fatto ricorso al Tar contro la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura di mandarlo in pensione per limiti di età: ricorso anche questo respinto. Non contento Davigo aveva fatto ricorso contro la sentenza del Tar dinnanzi al Consiglio di Stato: ma anche questo è stato respinto. Una sentenza che chiude una vicenda inattesa, per un profilo come lui, e certamente di poco lustro per la magistratura italiana. Un magro risultato dell’ex-“giustizialista” Piercamillo Davigo: sono in totale 7 le sue impugnazioni respinte in appena 5 anni. Ed i suoi “amici” giornalisti tacciono. Come facilmente prevedibile…
“Davigo non si rassegna ma rimedia sconfitte. Dopo la condanna in via definitiva, l’immarcescibile ex magistrato aveva attivato un ulteriore ricorso presso la Cassazione, ma anche questa procedura straordinaria, che seguiva le tre sentenze di primo grado, d’appello e di Cassazione, lo ha visto soccombere. Pertanto Davigo è un pregiudicato, un condannato, un moralista che spiegava agli altri quello che non è riuscito a spiegare a se stesso. Questi sono i personaggi più rappresentativi della recente storia della magistratura italiana. Che annovera tanti eroi, ma anche tanti che hanno predicato bene e razzolato male. Davigo si rassegni. Ma immagino che stia già preparando petizioni all’ONU e al Senato spaziale di Guerre Stellari nella speranza che prima o poi qualcuno gli dia ragione. Intanto ha torto, è condannato, è pregiudicato, e dovrebbe anche smettere di fare il moralista, cosa che ancora fa ogni tanto con una temerarietà degna di miglior causa”, è il duro giudizio di Maurizio Gasparri capogruppo dei senatori di Forza Italia a palazzo Madama.