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27 Luglio 2024 06:58
27 Luglio 2024 06:58

La strategia misteriosa di Salvini, ma il più a rischio è lui

A voler raccontare le cose tagliandole con l’accetta si può dire che in questi mesi Salvini e Meloni si sono scambiati le parti in commedia. Prima, Meloni era più a destra e tuonava contro l’establishment. E quando Salvini, sia pure senza troppo entusiasmo, saliva sul carro di Draghi e del suo governo, la leader di Fratelli d’Italia non gli lesinava aspre critiche
di Marco Follini

C’è qualcosa di quasi misterioso nell’ostinazione con cui Salvini insiste su una linea politica che smentisce sia la tradizione della Lega d’antan, quella di Umberto Bossi, sia i vincoli di coalizione che lo legano, o almeno dovrebbero, alla premier Giorgia Meloni. Un mistero rinnovato nei giorni scorsi con la festosa celebrazione delle elezioni russe ‘vinte’ da Putin. Laddove non è facile capire se sia la convinzione, l’ostinazione o una qualche forma di condizionamento a fargli esprimere un commento che contraddice la realtà di quel voto e il giudizio che ne viene dato ad opera di tutte, o quasi tutte, le forze politiche di casa nostra.

Eppure questa difforme filosofia di Salvini viene ripetuta ormai troppe volte per essere considerata casuale. Essa rivela piuttosto una strategia. E sembra attendere la prova del voto europeo per misurare la sua fortuna e il suo destino. Quello di una vittoria (improbabile) oppure di una sconfitta -dato che ormai il pareggio non viene più contemplato.

Ancora in questi giorni la sfida s’è rinnovata con il raduno, promosso da Salvini, di alcune fazioni antieuropeiste chiamate a raccolta nel nome di una visione geopolitica agli antipodi non solo con quella che governa Bruxelles e Strasburgo ma anche con quella che Meloni non si stanca di ribadire tra una passeggiata e l’altra che le capita di fare in compagnia di Ursula Von der Leyen.

Segno appunto che dietro tutta questa difformità ci deve per forza essere una scelta strategica. E cioè una scommessa che non vale solo per la politica verso l’Europa ma promette di avere ricadute significative anche nel cortile di casa. Fino ad aprire un confronto e magari anche un conflitto dentro le robuste mura del partito di cui Salvini è il leader sempre meno incontrastato.

A voler raccontare le cose tagliandole con l’accetta si può dire che in questi mesi Salvini e Meloni si sono scambiati le parti in commedia. Prima, Meloni era più a destra e tuonava contro l’establishment. E quando Salvini, sia pure senza troppo entusiasmo, saliva sul carro di Draghi e del suo governo, la leader di Fratelli d’Italia non gli lesinava aspre critiche. Ribadite qualche mese dopo, allorché Salvini pensò bene di votare per la rielezione di Mattarella senza neppure avvertire la sua futura premier. Calò il gelo in quelle circostanze. E solo l’imminenza della campagna elettorale costrinse i due a ritrovare un briciolo di sintonia.

All’indomani il copione però si rovesciò. E mentre Meloni scelse di governare mettendo un bel po’ d’acqua nel vino della sua antica destra, Salvini cominciò a pensare che il suo spazio vitale dovesse essere quello che Meloni a quel punto lasciava senza presidio. Di lì in poi è stato un crescendo. Lei (quasi) sempre più istituzionale, lui sempre più barricadiero. Lei un po’ felpata, lui volutamente ruvido. Lei baciata da Biden, lui in ansiosa attesa del ritorno di Trump. Lei che non si fa intimidire dalle intemerate del generale Vannacci e lui che invece si appresta a metterlo in lista. E via enumerando una gran quantità di reciproche distinzioni che si vanno facendo sempre più ampie man mano che si avvicina lo show down elettorale.

Ora, è evidente che il lieto fine a questo punto è assai difficilmente contemplato. E per quanto i due si affannino a rassicurare sulla tenuta della loro alleanza la trama di un possibile compromesso risulta ormai assai sfilacciata. Ma è evidente pure che se il conflitto dovesse superare il livello di guardia il rischio maggiore sarebbe per Salvini, più debole nei numeri e nel ruolo.

Così, quello che resta da capire è la ragione di tanto azzardo. Segno evidentemente o di una grande convinzione politica o di una grande propensione al rischio.

(Nel frattempo converrà tenere a mente -a proposito della terra di Putin– una vecchia fiaba russa trascritta dallo scrittore Viktor Sklovskij. Racconta la vanteria di un apprendista del diavolo che proclamava di essere capace di donare giovinezza a un vecchio. Per riportarne indietro l’età occorreva però che il vecchio venisse bruciato. Cosa che l’apprendista fece con tutto lo zelo del caso. Salvo scoprire che a quel punto era diventato impossibile resuscitarlo).

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