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29 Marzo 2024 07:11
29 Marzo 2024 07:11

Delusi dai partiti gli italiani sognano il sindaco d’Italia

Un candidato sindaco nel momento della sua campagna elettorale è obbligato a raccontare il suo percorso passato, se è in rinnovo, e il suo cammino futuro per i prossimi anni. Non si possono fare promesse vacue e prive di fondamento perché i cittadini riescono a toccare con mano le sue dichiarazioni e possono giudicare il suo operato vivendo nel pieno di quell’universo

di Alessandra Ghisleri

Perdere, si sa, fa male. E in questa tornata elettorale amministrativa, pur avendo interessato poco meno di 1 cittadino su 5 (8.831.743 cittadini maggiorenni erano chiamati a rinnovare le proprie amministrazioni comunali, fonte Ministero dell’Interno) solo un cittadino su 10 a livello nazionale si è recato ai seggi per esprimere le proprie preferenze (in totale i votanti alle amministrative sono stati circa 4,8 milioni).

Vedendo questi numeri ci si rende subito conto che chi ha perso realmente è la presenza, o meglio la volontà di voler partecipare alla vita pubblica e di dichiarare la propria scelta. E se si confrontano i dati dell’affluenza alle amministrative con quella ai referendum il rapporto è ancora più impietoso. In tutti i principali centri in cui si è votato per l’elezione del sindaco, l’affluenza al concomitante referendum è stata inferiore rispetto all’afflusso per le amministrative, fino anche a meno 8 punti percentuali come a Cuneo e Catanzaro. Sicuramente in questi centri la partecipazione al referendum è stata più alta che nel resto d’Italia, tuttavia sempre in minore misura rispetto alle schede richieste per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale. Se ne deduce che, laddove si è votato per il rinnovo del sindaco, in molti hanno rifiutato le schede referendarie. La media stimata per coloro che nei grandi Comuni avevano diritto ad entrambe le votazioni ci dice che il 4,91% ha rifiutato di votare al referendum.

Sicuramente le tematiche dei quesiti referendari erano complesse (18,0%) e poco intriganti (13, 2%); e forse qualcuno non ne ha apprezzato politicamente i promotori (13,6%). Tuttavia, analizzando le risposte di chi ha scelto di non esprimere il suo voto al referendum, al di là di coloro che, convinti che il quorum non si sarebbe raggiunto non si sono preoccupati di andare a votare (9,9%), il 16,8% non si è manifestato perché persuaso che non sarebbe cambiato nulla con il proprio voto. Il 3,9% ritiene il referendum un metodo “passato”, mentre il 6,3% è scontento di non aver potuto partecipare ad un voto per l’eutanasia e la cannabis, sicuramente temi più facili, toccanti e coinvolgenti.

Il 37,0% dell’opinione pubblica dichiara che se i quesiti risultano complicati lo strumento del referendum può diventare un inutile spreco di denaro. Un cittadino su 5 (20,5%) lo ritiene ancora un utile strumento di democrazia, mentre per il 21,7% potrebbe diventare utile eliminare il quorum per favorire una maggiore partecipazione popolare. Il problema non è di natura informativa, non si può equivocare, ma comportamentale. Non è che avendo fornito maggiori indicazioni si sarebbe avuto un migliore risultato. Per modificare i convincimenti e le nostre “cattive” abitudini occorre che la spinta sia quella giusta. Ma veramente possiamo illuderci che la maggior parte dei cittadini avrebbe potuto votare per questi referendum convinta che il raggiungimento del quorum avrebbe potuto migliorare la loro vita?

Siamo esseri umani rilegati nel nostro piccolo mondo, con le emozioni e i sentimenti relativi a tutto ciò che entra in rapporto con noi. Ebbene se la politica non riesce a penetrare questi universi non ottiene buoni risultati. Oggi i cittadini vivono nell’incertezza – non solo economica – individuandosi come dei topolini in un labirinto senza indicazioni di uscita; e per alleggerire la loro pena desiderano credere nella “speranza” di una nuova pianificazione che li coinvolga e permetta loro di organizzarsi nella ricerca di un benessere, non solo economico.

Dal punto di osservazione dell’opinione pubblica il voto di domenica non ha messo in difficoltà il governo (65,2%). Tuttavia ha imposto delle riflessioni importanti per i partiti e la loro classe dirigente. La riconferma di molti sindaci o quanto meno di amministratori di giunte “uscenti”, la vittoria al primo turno di molti candidati civici “prestati alla politica” e la forza in termini elettorali delle liste civiche legate al candidato hanno già proposto delle importanti indicazioni.

Un candidato sindaco nel momento della sua campagna elettorale è obbligato a raccontare il suo percorso passato, se è in rinnovo, e il suo cammino futuro per i prossimi anni. Non si possono fare promesse vacue e prive di fondamento perché i cittadini riescono a toccare con mano le sue dichiarazioni e possono giudicare il suo operato vivendo nel pieno di quell’universo. Non l’espressione di semplici desideri, ma un cammino definito e scadenzato per i prossimi anni. Non c’è nulla di più politico che occuparsi della gente e dei suoi bisogni. Questa breve campagna elettorale ci ha fatto sentire il “profumo” di quello che sarà il futuro dibattito politico che ci accompagnerà da qui al prossimo anno.

L’effetto di questa tornata elettorale lo si è già registrato in queste prime intenzioni di “post-voto” dove ancora una volta si vedono confermate le tendenze in crescita di Fratelli d’Italia e Pd con le contemporanee difficoltà vissute dai loro principali alleati e, ancora stabile e solido quel “terzo polo” imperniato su Calenda e Renzi in cerca di una via o forse di una sponda. Il futuro politico non può che partire da qui: dal fatto che i cittadini sono alla ricerca del loro sindaco d’Italia.

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