di Antonello de Gennaro
La separazione delle carriere non può e non dovrebbe mai essere né di destra né di sinistra. È un primo tassello, un inizio di percorso, che certo non risolve i mali strutturali del sistema italiano, come la lunghezza dei processi che troppo spesso e volentieri sfociano nella prescrizione del reato. così soffocando il principio stesso della giustizia), un sistema assurdo in cui i magistrati sono gli unici cittadini (o forse “unti” dal Signore ?) che non rispondono mai degli errori commessi e dove l’obbligatorietà dell’azione penale è un pannicello caldo.
Allora appare più che legittimo chiedersi perché mai l’ANM, cioè l’ Associazione nazionale dei Magistrati, è scesa in campo sul piede di guerra? Come è legittimo chiedersi come mai Gratteri il Procuratore di Napoli, che è una delle Procure più importanti e complesse d’Italia è ormai diventato un commentatore televisivo, quasi sempre senza contraddittorio, che vuole spiegarci tutte le sere la nefandezza di questa scelta di separare le carriere dei magistrati e del pericolo che corre il nostro sistema democratico?
I magistrati hanno paura di perdere potere? Di fatto con la loro “guerra” alla separazione delle carriere ammettono di averne uno spropositato oggi. O non sarà la questione del sorteggio che può essere usato per le corti popolari d’assise mentre sembra alle toghe una bestemmia quando viene proposto per i due CSM ? Servirebbe una maggiore onestà intellettuale, da parte di tutti, perché i cittadini, che già non hanno fiducia nella giustizia, ne hanno poca anche verso la politica e verso i giornalisti”schierati” ma conservano intatto il loro diritto costituzionale a ricevere un informazione corretta per poter decidere. Proviamo a non deluderli ancora.

La separazione delle carriere in realtà non tocca minimamente nè la formazione né la cultura giuridica dei magistrati, che continueranno a essere selezionati con gli stessi criteri, formati nelle stesse scuole e soggetti alle stesse norme di legge. L’unica differenza, come è giusto che sia secondo il sottoscritto, che finalmente ci sarà una chiarezza dei ruoli. Una distinzione elementare, che molti sostengono che esista già. Ed allora mi sembra logico chiedersi perché, al netto di tutti i dubbi legittimi sulla riforma, temerne l’istituzionalizzazione per Legge ?
Un pubblico ministero serio che onora il ruolo ed il lauto stipendio statale che percepisce continuerà a cercare la verità anche con le carriere separate, così come un buon avvocato continuerà a difendere nel rispetto della legge. Gli errori giudiziari non hanno origine dal pluralismo dei ruoli, ma bensì dalla mancanza di controlli e dalla scarsa responsabilità personale di cui godono i magistrati ai quali si chiede esclusivamente di rendere trasparente un sistema che invece, troppo spesso, si autoprotegge ritenendosi degli “intoccabili£
Il codice di procedura penale peraltro rimane intatto, con il permanere quindi dell’obbligo di ricerca della prova a discarico da parte del pubblico ministero. Una rafforzata terzietà del giudice comporterà per effetto l’aumentata professionalità e dovuta attenzione del pubblico ministero, con indubbio beneficio per l’indagato o l’imputato: altro che il “superpoliziotto” evocato irrealmente dal collega Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano. L’indimenticato Paolo Borsellino che viene tirato in ballo a sproposito a Travaglio , in realtà non si è mai espresso nel merito della separazione, come dimostrato dal collega Damiano Aliprandi sul quotidiano Il Dubbio.

Casomai Travaglio dovrebbe spiegare ai lettori, telespettatori ed al Consiglio di Disciplina dell’ Ordine dei Giornalisti dove ha trovato le frasi che attribuisce al magistrato e delle quali non vi è alcuna traccia ! Ma forse Travaglio è troppo preso dall’ attività di cantante nelle serate di karaoke che organizza in un ristorante alle pendici del “Palazzaccio”, sede della Corte di Cassazione, dove si esalta come se stesse sul palco del Festival di Sanremo.
Il Fatto Quotidiano diretto da Travaglio, ha sostenuto nei giorni scorsi che Borsellino in un’intervista del 23 maggio 1991 al programma televisivo “Samarcanda” condotto da Michele Santoro sarebbe stato categorico: “Separare le carriere significa spezzare l’unità della magistratura. Il magistrato requirente deve poter svolgere la sua funzione senza dover rendere conto al potere politico”. Un’intervista inesistente, di cui non vi è alcuna traccia, alcuna prova documentale che viene spacciata ai lettori come prova di un tradimento da parte della premier Giorgia Meloni nei confronti del suo mentore Borsellino. Peccato però che sia una balla !
Esiste una sola partecipazione di Borsellino in quel programma televisivo, datata 1 dicembre ’88 quando, intervistato da Sandro Ruotolo (ora guarda caso diventato eurodeputato del PD….) , il magistrato parlò dell’importanza del pool antimafia; della definizione della mafia alla fine degli anni ’80 rispetto agli anni ’70; del pentitismo e del proprio rapporto con la Sicilia. Nessuna menzione sulla separazione delle carriere, tema sul quale non risulta che Borsellino si sia mai espresso pubblicamente.

Come giustamente segnala in suo editoriale Alessandro Sallusti, direttore del quotidiano IL GIORNALE, “la menzogna diffusa dal Fatto è stata riproposta in varie salse da giornalisti e politici che si sono fatti megafono della falsità. Dalla Gruber a Otto e mezzo il 3 novembre scorso l’ha ripetuta in diretta tv lo stesso Travaglio aggiungendo il commento perentorio: “Borsellino era radicalmente contrario alla separazione delle carriere”. Stessa solfa ripetuta da Peter Gomez due giorni dopo su Restart su Rai3. Il 6 novembre Formigli su PiazzaPulita ha dedicato il suo editoriale alla frase inventata. Floris l’ha riletta l’8 novembre a DiMartedì e sullo stesso palcoscenico Alessandro Di Battista ha usato le finte dichiarazioni di Borsellino per il suo monologo”. Tutta materia per il Consiglio di disciplina dell’ Ordine dei Giornalisti, che al momento ci risulta silente per non disturbare le manovre sisnistrorse dei soliti ventriloqui al servizio delle procure.
I colleghi sopracitati hanno dimenticato (solo una svista ?), un’intervista su Repubblica del 3 ottobre ’91 nella quale Giovanni Falcone sosteneva che: “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa (…) E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il pm sotto il controllo dell’Esecutivo. È veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del pm con questioni istituzionali totalmente distinte”.

Eppure sarebbe bastato consultare il volume “Giovanni Falcone, Interventi e proposte, 1982-1992” per poter leggere il suo vero pensiero: “Ho la faticosa consapevolezza che la regolamentazione della carriera dei magistrati del pubblico ministero non può più essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste: investigatore il pm, arbitro della controversia il giudice“.
Ed adesso cari ventriloqui delle procure, fateci un piacere: lasciate riposare in pace Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che avete evocato indegnamente . Non siete degni neanche di nominarli. Vergognatevi.









