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2 Maggio 2024 01:17
2 Maggio 2024 01:17

Diffamazioni su Facebook ? Rischio carcere, secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha stabilito che per le offese "gratuite" sui social network la competenza non è del giudice di pace ma del Tribunale, ed il reato è punbile con la reclusione sino a tre anni

La Corte di Cassazione ha sentenziato. Chi denigra ed offende su Facebook rischia il carcere . Origine della sentenza, la burrascosa separazione di una coppia ed una querela del 2010, contenente in particolare gli insulti postati sul social network dall’ex marito nei confronti dell’ex moglie, che ha generato un processo per diffamazione con pareri divergenti  tra giudice di pace e Tribunale ordinario. Un conflitto di competenze di non poco conto per i “diffamatori” seriali del web, perché mentre il Giudice di pace applica soltanto delle sanzioni pecuniarie, il Tribunale può anche sentenziare condanne che possono portare in carcere. Nel caso di diffamazione aggravata, infatti, il Codice Penale prevede la reclusione da sei mesi a tre anni.

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Il processo in questione era stato girato al Giudice di pace di Roma, il quale ha dichiarato la sua incompetenza ritenendo che la diffamazione su Facebook sia da ritenersi aggravata dal mezzo della pubblicità e quindi sia di competenza del Tribunale ordinario. Ma qui il collegio aveva accolto le argomentazioni dell’avvocato Gianluca Arrighi difensore dell’ex marito in questione, stabilendo che Facebook non può essere paragonato ad un blog o a un quotidiano online, che sono visionabili da chiunque accedendo sulla rete internet, e che quindi la competenza era del giudice di pace. Di conseguenza, gli atti, sono stati trasmessi alla Cassazione per la risoluzione del conflitto.

I giudici della  Suprema Corte dopo una lunga camera di consiglio, hanno invece stabilito, ed in via definitiva, che la diffamazione su Facebook deve essere considerata aggravata dal mezzo della pubblicità e che pertanto la pena da applicare può essere il carcere. Ora si attendono  le motivazioni per capire quale sia stato il percorso logico giuridico seguito dalla Cassazione.

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