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27 Aprile 2024 00:22
27 Aprile 2024 00:22

Lo scandalo del DAP. Traballa il ministro Bonafede

il magistrato Nino Di Matteo, attuale componente del CSM ripete e conferma le accuse in Antimafia, dove adesso probabilmente verrà convocato ed ascoltato anche il Guardasigilli Bonafede.

ROMA – Le parole del magistrato Nino Di Matteo in commissione Antimafia, che ha confermato tutto sui suoi rapporti con Alfonso Bonafede, aggiungendo dettagli sullo scontro con il Guardasigilli hanno messo ancora di più in discussione la guida del Ministero di Giustizia negli ultimi mesi, dove ora vi è una forte fibrillazione via Arenula.

L’ onorevole Maurizio Lupi, deputato che siede nella commissione presieduta dal grillino Morra, ha chiesto l’audizione “urgentissima” del Guardasigilli, avente come oggetto le stesse motivazioni per le quali è stato chiamato il consigliere del Csm Di Matteo.

E cioè l’offerta di incarico di diventare Direttore Generale del Dap poi ritirata, che il ministro della Giustizia aveva fatto nel giugno 2018 al noto pm siciliano. Ma sopratutto quella frase, secondo Di Matteo, proferita dal Guardasigilli al termine di un loro incontro.

Bonafede dopo avergli preferito Francesco Basentini alla guida dell’ amministrazione dei penitenziari, chiese al pm della “trattativa Stato-Mafia” di accettare l’altro incarico che gli aveva proposto, e cioè la guida degli Affari penali del ministero. Di Matteo ha sostenuto che il ministro della Giustizia gli avrebbe detto “La prego di rifletterci perché per questo incarico non ci sono dinieghi o mancati gradimenti che tengano”. Monito questo che è rimasta impresso nella memoria dell’attuale consigliere togato del Csm.

L’ex capo del Dap, Francesco Basentini

Poche settimane prima, e il ministro Bonafede lo sapeva molto bene, glielo aveva detto il magistrato, e lui, dopo, aveva dichiarato di esserne già a conoscenza – che alcuni detenuti avevano mostrato molto malumore alla notizia della possibile nomina di Di Matteo ai vertici delle carceri.

Di Matteo fa riferimento a un altro allegato, in cui si riporta che 51 detenuti al 41 bis a L’Aquila erano andati a rapporto dal magistrato di sorveglianza per protestare per la potenziale nomina del pm siciliano al Dap. Nel corso dell’audizione il magistrato ha spiegato anche i contenuti della nota del Gom (reparto della Polizia Penitenziaria), datato 5 giugno, laddove sono riportate delle reazioni anche di alcuni mafiosi detenuti al 41 bis: “Per quello che mi riguardava direttamente, alcuni esponenti di Cosa nostra, come Cesare Lupo e Alessandro Lo Piccolo ed altri. Si trattava di sostanziali proteste ad alta voce contro quelle ipotesi (la nomina di Di Matteo al Dap, ndr). Uno diceva che se viene Di Matteo siamo tutti consumati, l’altro che dobbiamo fare “l’ammuina” e cioè organizzare delle proteste e altri ancora dicevano che qui ci vogliono chiudere per sempre, perché vogliono riaprire Pianosa e Asinara. La cosa che mi colpì, non erano tante le esternazioni, ma che a quella nota era allegata un’altra nota proveniente dalla casa circondariale de L’Aquila nella quale sostanzialmente veniva riportato un episodio che un detenuto, da un piano all’altro del carcere, aveva ordinato a tutti gli altri del 41bis che per protesta dovevano mettersi a rapporto con il magistrato di sorveglianza”. Di Matteo ha anche parlato di un’altra nota, del giorno successivo, in cui si dava conto di come “51 detenuti al 41bis di quel carcere si erano effettivamente messi a rapporto con il magistrato di sorveglianza. Quindi sostanzialmente, a me è rimasta la curiosità su cosa avessero scritto in quelle istanze e sentiti dal magistrato di sorveglianza e cosa dissero, ma queste non furono delle reazioni estemporanee, ma fu la contestualità di 51 detenuti che chiedono di parlare con il magistrato di sorveglianza per protestare”.

Su quelle due parole, “dinieghi” e “mancati gradimenti”, Di Matteo ha detto: “Non è compito mio sapere a chi si riferisse, potrebbe dirlo solo Bonafede. Ma la vicenda non è più personale, ma istituzionale”. Su richiesta dei commissari alcune parti dell’audizione, sono state secretate, e tre-quattro volte la diretta è stata interrotta, e quindi la la risposta di Di Matteo alla Commissione Antimafia al momento resta ufficialmente segreta. “Alcuni commissari hanno ritenuto di chiedere il segreto, ma non è emerso nessun elemento nuovo”, sostiene una fonte della maggioranza che vuole difendere Bonafede

Ripartiamo dall’inizio di questa vicenda, per aiutare il lettore a capire meglio cosa è accaduto e sopratutto cosa sta accadendo, partendo da quelle 48 ore della fine della primavera del 2018, delle quali nessuno era a conoscenza , se non pochissime persone vicine al magistrato Di Matteo. “Non volevo rischiare di delegittimare il ministro”, ha spiegato in Commissione il magistrato.

Massimo Gilletti, conduttore del programma tv”Non è l’ Arena”

La vicenda è arrivata alla ribalta mediatica domenica 3 maggio, nel corso della trasmissione Non è l’Arena di Massimo Giletti. durante le polemiche sulle scarcerazioni di vari detenuti ai vertici delle organizzazioni mafiose a seguito dell’emergenza Covid sicuramente malgestite. Tutto ha origine dall’ ormai nota circolare del Dap del 21 marzo 2020, con la quale chiedeva semplicemente ai direttori delle carceri di segnalare i detenuti anziani o con gravi patologie.

Una circolare che è costata le dimissioni a Francesco Basentini, che è stato al vertice del Dap fino al primo maggio scorso. nel corso del programma in diretta su La7 il conduttore Massimo Gilletti ha parlato proprio di questo ed a un certo punto fatto riferimento al magistrato Nino Di Matteo, ed è stato a questo punto che l’attuale consigliere del Csm, che era stato invitato alla trasmissione, ha deciso di intervenire telefonicamente, dicendo: “Ho sentito dire che io e Bonafede non avevamo trovato l’accordo sulla mia nomina al Dap. Che la trattativa non era andata a buon fine”, parole che il magistrato siciliano ha riferito anche davanti alla commissione Antimafia .

Il magistrato, neo-componente del Csm ha ripercorso nel corso della sua audizione in Commissione Antimafia, quelle 48ore del 2018, partendo dalla telefonata del Guardasigilli, confermando la sua decisione di accettare la nomina al Dap, e riferendo di aver rifiutato gli Affari Penali in occasione del secondo incontro con il ministro Guardasigilli Bonafede. Ingombrante, dietro le quinte l’informativa del Gom che riportava i commenti negativi e di timore dei detenuti più pericolosi sulla possibile guida di Di Matteo dell’amministrazione carceraria. Commenti per i quali cui il magistrato informa il ministro.

Di Matteo dice: “Il ministro telefonicamente mi disse che voleva farmi una proposta, che aveva pensato a me o come capo del Dap, e mi specificò che se avessi accettato la nomina avrebbe avuto effetti immediati, oppure come direttore degli Affari penali”. Piccolo particolare…il secondo incarico, peraltro inferiore di livello alla guida del DAP, era già ricoperto !

l’ex Guardasigilli Andrea Orlando

Andrea Orlando, predecessore di Bonafede alla guida del Ministero di via Arenula, quindi ad elezioni già celebrate, aveva nominato il 21 marzo 2018 proprio per quel ruolo Donatella Donati, che ricopriva ancora oggi quell’incarico dirigenziale , ma il Guardasigilli (che ha riferito di Di Matteo) auspicava di poterla convincere ad accettare un altro incarico. Il comando degli Affari penali, spiega il consigliere davanti ai parlamentari dell’ Antimafia: “poiché il ministro uscente aveva nominato dopo l’esito delle elezioni, la dottoressa Donati, mi sarebbe stato attribuito solo in un secondo momento, a settembre-ottobre. Sostanzialmente mi propose o di fare il generale subito e sicuro, oppure di accettare un ruolo futuro di capitano se il ministro avesse convinto la dottoressa donati ad abbandonare”.

22 ore dopo dalla prima conversazione telefonica fra il Guardasigilli e Di Matteo, avvenne primo incontro con il ministro. Il magistrato siciliano si reca dal Ministro in via Arenula, convintosi ad accettare la guida Dap. Ma è proprio in questo momento che avviene il colpo di scena: il Guardasigilli Bonafede ha cambiato idea, e gli riferisce di avergli preferito Basentini. Il pm siciliano racconta di essere restato sorpreso. “Poiché mi disse più volte ‘scelga lei’ il giorno prima al telefono, e me lo disse per tre volte, io gli risposi: ‘domani le comunichero’ la risposta. Venni a Roma il giorno dopo per comunicargli la scelta per capo del Dap. Io non avevo dubbi ad accettare quell’incarico. Ma durante quelle ore il Guardasigilli aveva deciso, e quindi per Di Matteo, se accetta, restano sono solo gli Affari penali. Incarico peraltro neanche certo, che il giorno dopo l’attuale consigliere del Csm ha ufficialmente rifiutato.

Dopodichè passano 2 anni di silenzio ed oblio da parte del magistrato. Silenzio per il quale, rispondendo a una domanda in commissione Antimafia, Di Matteo ha confermato di non essersi pentito: “Se avessi avuto notizie di reato avrei avuto la sede per riferirle, ossia le procure della Repubblica, se avessi avuto elementi per ritenere che il ministro aveva cambiato idea perché indotto dai mafiosi lo avrei detto. In quel momento, l’idea che ho avuto è che il ministro non era in grado di valutare bene certe dinamiche della lotta alla mafia”. 

Legittimo chiedersi perchè Di Matteo dopo due anni cambia idea rendendo pubblica la storia che ha messo in imbarazzo e sotto forte pressione il Guardasigilli? Di Matteo sostiene che si è molto preoccupato quando ha visto le scarcerazioni disposte per motivi di salute nel pieno dell’emergenza Covid. E gli è tornato in mente il 1993, il secondo anno dell stragi mafiose.

“Sono accadute alcune cose che mi hanno indotto a parlare – ha spiegato – le rivolte dei detenuti, le scarcerazioni di detenuti per mafia, avevo letto sui media della circolare del 21 marzo, le dimissioni di Basentini e il fatto che iniziavano nuovamente a filtrare le voci di un incarico a me come capo del Dap”. Di Matteo assicura la Commissione Antimafia che non parla per invidia, , ma solo perchè quel dietrofront improvviso del mimnistro di Giustizia non è stato un bel gesto e dice che c’è rimasto male: “Quale segnale si dà indirettamente alla mafia? Tu ti rivolgi a un magistrato, c’erano i giornali pieni in quei giorni, mi fai venire lì e poi cambi idea? non è stato un segnale molto bello…”.

Quella di Di Matteo è stata un’audizione fiume, sospesa alle 17 e ripartita dopo quasi due ore, diventando un’altro macigno per il ministro Bonafede in un momento di tensione, ancora una volta, e di agitazione per i vertici via Arenula. Infatti in questa settimana non è stato sentito solo Di Matteo, ma anche Giulio Romano, l’ ex direttore detenuti del Dap. Il quale parlando della famosa circolare del 21 marzo ha detto che il ministro “mostrò apprezzamento” per l’atto. Salvo ritrattare dopo 24 ore, sempre davanti alla Commissione antimafia. La circolare è stata sospesa, in quanto secondo il Dap in carcere l’emergenza Covid non esiste più. Permane la confusione generata da chi ha giustamente criticato quella circolare che ha rappresentato l’atto burocratico che ha dato il via a un fiume di scarcerazioni .

L’ex consigliere togato del Csm, Luca Palamara

Ricordando la serie di “attacchi virulenti” ricevuti durante il processo Stato-mafia, il magistrato palermitano ha riferito un episodio molto particolare che riguardava, ancora una volta, Palamara: “Se non ricordo male, a un certo punto, nel momento più aspro della polemica dovuta al conflitto di attribuzione Antonio Ingroia, che all’epoca era ancora alla Procura di Palermo e conduceva le indagini con noi, disse, a me e all’allora procuratore Messineo, una cosa buttata lì, anche perché noi l’abbiamo subito stoppato. Io all’inizio pensavo che scherzasse, disse che a Roma aveva incontrato un noto giornalista, il direttore di un noto quotidiano, che gli aveva detto che dal Quirinale volevano sapere se c’era la possibilità di un qualche contatto con la Procura di Palermo, per risolvere questa situazione, e in quel caso il punto di collegamento poteva essere sperimentato dal dottor Palamara”. “Io pensavo che Antonio scherzasse – ha aggiunto Di Matteo – sia io sia Messineo, e Ingroia era d’accordo, ‘stiamo scherzando, questi vogliono fare una trattativa sulla trattativa‘, questa fu una battuta. Fu una cosa estemporanea. Ricordo che fece il nome come possibile mediatore di Palamara. In quel momento – ha spiegato Di Matteo – non capivo cosa potesse entrarci con le vicende del procedimento sulla trattativa Stato-mafia e con le rimostranze del Quirinale. Questo è un dato di fatto. Non sono mai più tornato con Ingroia, su questa cosa ma ricordo questo riferimento estemporaneo, credo che il direttore a cui aveva fatto riferimento Ingroia fosse l’allora direttore di Repubblica Ezio Mauro, Ingroia potrebbe essere più preciso. Io ricordo che eravamo nella stanza del procuratore, Ingroia tornava da Roma e fece questo riferimento che noi bloccammo subito anche Ingroia era convinto che andasse bloccato subito, la pensava esattamente come me”.

Tra gli interventi c’è stato anche quello del presidente della Commissione Nicola Morra (M5S). Questultimo ha ricordato una frase espressa da Matteo Renzi che, in occasione del dibattito sulle mozioni sfiducia al ministro Alfonso Bonafede in Senato, dopo che era stato richiamato in Aula il nome dello stesso Di Matteo, aveva rivolto un “pensiero affettuoso” al presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano. Il consigliere del Csm ha semplicemente risposto che, pur avendo notato quel riferimento, non può sapere “perché in quel momento il senatore Renzi abbia sentito la necessità o l’opportunità di ringraziare il presidente Napolitano, non lo dovede chiedere a me”.

il magistrato Sebastiano Ardita membro del CSM

Sulle scarcerazioni “allegre” e preoccupanti ha parlato anche il suo collega Sebastiano Ardita (anch’ egli membro del CSM), che sulla scia di quello che aveva già detto ieri in Antimafia , ha parlato di “segnale devastante da un punto di vista simbolico, che la mafia avrà visto come un segno di cedimento (dello Stato, ndr), di speranza”.

Anche il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, già sostituto procuratore di Catanzaro, si aggiunge alla lista di coloro che stanno chiedendo al Guardasigilli di chiarire il motivo della sua discussa scelta per la guida dell’importantissimo ufficio del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria nel 2018 Nino Di Matteo ha raccontato un fatto, il ministro Alfonso Bonafede ha più o meno raccontato il fatto, a modo suo, ma ci deve dare altre spiegazioni. Per quale motivo ha scelto Francesco Basentini a capo del Dap e non Nino Di Matteo?”.

Per ascoltare e vedere l’audizione di Di Matteo alla Commissione Antimafia, cliccare QUI

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