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3 Novembre 2025 22:09

L’ Anm propaganda il NO al referendum usando aule giudiziarie in giro per l’Italia: “Questa è casa nostra”

La giustizia non ha padroni ma l’Anm. usa senza alcun titolo e diritto aule giudiziarie in giro per l’Italia
di Gian Domenico Caiazza

Non sono per niente stupito che la roboante campagna referendaria per il NO dell’Associazione Nazionale Magistrati abbia avuto inizio nel Palazzo di Giustizia di Napoli, nuovo regno assoluto del frontman della campagna, il Procuratore capo Nicola Gratteri. Aveva appena finito, pochi giorni prima, di inscenare – toga in spalle – un formidabile cazziatone mediatico-giudiziario ai suoi colleghi della giudicante, rei di non trattare i processi di criminalità organizzata anche di notte, per scongiurare a lui sgradite decadenze delle misure cautelari. “Questa è casa nostra”, aveva infatti gridato nel microfono uno dei suoi sostituti in quella manifestazione, rispondendo con baldanza alle polemiche sull’uso improprio delle aule giudiziarie per propaganda politica.

La magistratura italiana capirà presto a chi ha deciso di affidarsi sul piano mediatico in questo scontro referendario, e quali ne saranno le conseguenze. Un piccolo accenno si è avuto nella assemblea nazionale in Aula Magna della Cassazione, sempre a sostegno del NO, quando la sua collega moderatrice ha garbatamente osato ricordargli il limite dei sette minuti di durata degli interventi. “Mi avete cercato per un mese, e ora mi dai sette minuti; me ne stavo a cogliere le olive a casa”: ed ha parlato (per la gran parte del tempo di sé) per tutto il tempo che gli è parso e piaciuto. Anyway, il problema non è nostro, auguri. È nostro invece il problema dell’uso privato (perché ANM è una associazione privata) delle strutture giudiziarie pubbliche per finalità politiche di parte. A noi penalisti, che nel 2016 raccoglievamo le firme per la legge di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere, fu vietato di farlo all’interno dei Palazzi di Giustizia dalla gran parte dei Presidenti di Tribunale o Corte di Appello, che ci opposero severamente la natura – come dire – neutrale di quelle aule, corridoi e spiazzi, rispetto ad iniziative di natura politica. Deve essere cambiata la giurisprudenza, immagino.

Al di là delle pur rilevanti contingenze politiche, il tema è di grande rilievo, e sarebbe un errore ridurlo sul piano strettamente polemico. Questo disporre dei Tribunali come se fosse casa propria da parte della magistratura, addirittura rivendicandolo un po’ sguaiatamente nei microfoni, è solo l’epifenomeno di una connotazione culturale fortemente radicata nelle toghe italiche. I Palazzi di Giustizia sono casa loro, perché il processo, la giustizia è cosa loro. L’avvocato è un ospite, per alcuni addirittura uno sgradito intruso (abbiamo combattuto per anni per far rimuovere cartelli appesi alle porte degli uffici di molti Pubblici Ministeri, che ammonivano “non si ricevono gli avvocati”). E d’altronde sentiamo tutt’ora apertamente teorizzare e rivendicare una esplicita disparità – in barba alla Costituzione – tra parte pubblica e privata nel processo, perché la prima perseguirebbe fini di giustizia, mentre il difensore persegue gli interessi del proprio assistito; come se la difesa dei diritti dell’imputato non costituisse, al contrario, il principale contributo di idee e prove concrete, indispensabile perché il giudice possa finalmente “dire giustizia”.

Dunque, quello che sta accadendo, e di cui ci occupiamo, è la spia di una cifra culturale che attraversa larga parte della magistratura italiana, e che spiega questa avversione viscerale verso il giusto processo entrato in Costituzione 25 anni fa, e verso la conseguente, lineare necessità di adeguamento dell’ordinamento giudiziario con la separazione delle carriere. “E qui comando io, e questa è casa mia”, cantava Gigliola Cinquetti una cinquantina di anni fa ed oggi l’ANM, lanciatasi un po’ spericolatamente nella pugna referendaria. Con qualche marcata inflessione calabrese, in questa cover, ma qui è solo questione di gusti.

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