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4 Dicembre 2025 11:33

Caporalato nella moda, altri 13 brand nell’inchiesta

Emerse gravi irregolarità e violazioni delle norme sul lavoro. La procura di Milano avrebbe chiesto alle aziende di «consegnare» tutta "la documentazione" ed in particolare quella sui "sistemi di controllo" sulla catena di appalti e subappalti nella produzione

Sono tredici i nuovi marchi della moda finiti nel mirino della Procura di Milano, nell’inchiesta che segue il caso Tod’s e che punta a far luce sulle condizioni di lavoro lungo la filiera del lusso. Il pm Paolo Storari, insieme ai Carabinieri del NIL-Nucleo ispettorato del lavoro, ha inviato altrettanti ordini di consegna documentale alle aziende di moda coinvolte dopo i controlli negli opifici cinesi a cui era stata subappaltata la produzione: verifiche che hanno fatto emergere gravi irregolarità, dalle violazioni delle norme sul lavoro ai deficit di sicurezza. La richiesta riguarda i brand Dolce & Gabbana, Prada, Versace, Gucci, Missoni, Ferragamo, Yves Saint Laurent, Givenchy, Pinko, Coccinelle, Adidas, Alexander McQueen Italia, Off-White Operating.

L’iter che si ripete è lo stesso: il grande marchio subappalta la produzione dei suoi capi di lusso a una o più aziende, che a loro volta affidano la produzione a una rete di opifici cinesi all’interno dei quali non vengono rispettate le normative di legge sul lavoro e la sicurezza. Aziende dove un operaio cinese guadagna 3 euro l’ora, lavora, mangia e dorme nel capannone , e produce per un centinaio di euro la borsa che in vetrina ne costa 1.400.

Una delle ispezioni, per esempio, riguarda la Zen Confezioni di Baranzate, amministratore unico il cinese Ronggan Yu. Agli atti le foto dell’opificio, dove si lavorava, mangiava e dormiva. All’interno, “esclusivamente capi di abbigliamento a marchio Tod’s”, seppure le etichette già apposte sui capi indicassero come paese di produzione la Romania (“che già di per sé integra il reato 517”, si legge, cioè vendita di prodotti industriali con segni mendaci). I vestiti sono stati sequestrati. Paghe lorde tra i 4,5 euro e il 4,8 euro l’ora sono state scoperte nell’impresa Vang Junji di Monte San Giusto, dove si fabbricavano “parti in cuoio per calzature”. Ma qualcuno arrivava anche a pagare solo 3 euro l’ora.

Nella richiesta di consegna ai diversi marchi le indicazioni del pm Storari sono praticamente uguale e relative e ai documenti inerenti all’organigramma aziendale, i verbali di cda e collegio sindacale, le attività di audit e per verificare i sistemi di controlli interni, invece, si chiede di spiegare le “procedure di accreditamento, selezione, gestione e monitoraggio dei fornitori di materie prime strategiche, beni e servizi, ivi compresa l’esternalizzazione, anche parziale, della produzione”.

In ogni atto la Procura indica i fornitori critici che sono già stati individuati dai Carabinieri nella filiera del brand, il numero di lavoratori degli opifici cinesi rilevati in condizioni di “pesante sfruttamento” e la presenza di articoli del marchio pronti a essere immessi sul mercato. La richiesta dei documenti, si legge nel provvedimento del pubblico ministero Storari, “è necessaria per appurare il grado di coinvolgimento di ogni singolo marchio del lusso nell’utilizzo della manodopera sfruttata e l’idoneità dei modelli organizzativi “per prevenire fenomeni di sfruttamento lavorativo.

La procura di Milano

Una nuova formula d’ indagine per concedere il tempo ai marchi di eliminare i caporali dalle linee di produzione e ristrutturare appalti e subappalti senza incorrere nelle pesanti richieste di amministrazione giudiziaria, come avvenuto dal marzo 2024 in poi per Alviero Martini spa, Armani OperationManufacture DiorValentino Bags LabLoro Piana, Louis Vuitton, non indagate ma con l’ipotesi di aver agevolato colposamente e inconsapevolmente lo sfruttamento o, nelle ultime settimane, per Tod’s spa nell’inchiesta che la vede indagata con l’accusa di aver agito invece nella piena consapevolezza propria e dei propri manager che certificano le linee di produzione degli appaltatori.  I manager Simone Bernardini, Mirko Bartoloni e Vittorio Mascioni dipendenti della società di Diego Della Valle, come si legge negli atti delle indagini del Nucleo ispettorato lavoro dei Carabinieri, non avrebbero tenuto “minimamente conto dei risultati” di alcune “ispezioni” negli opifici cinesi tra le province di Milano, Pavia, Macerata e Fermo.  Le violazioni riguardano l’orario di lavoro, le paghe basse, le condizioni di sicurezza, le “condizioni alloggiative degradanti”.

Secondo i magistrati: “Tod’s è perfettamente a conoscenza dello sfruttamento lavorativo patito dai lavoratori cinesi”. Ma l’ azienda di Della Valle pare affetta da una sorta di cecità intenzionale”. Uno dei professionisti incaricati di fare gli audit per conto della Tod’s si chiama Stefano G., lavora per la società certificatrice Bureau Veritas Certest di San Miniato. Viene sentito a sommarie informazioni lo scorso 23 ottobre. Lui stesso aveva rilevato forti criticità nei capannoni. Uno dei trucchi? La voce “assenze ingiustificate” in busta paga per abbattere l’imponibile retributivo e quindi le imposte. Così un operaio, che in teoria avrebbe dovuto guadagnare 1.421 euro, ufficialmente ne prende solo 127. Senza contare tutte le altre violazioni in materia contrattuale e di sicurezza. Tutti i report, comunque, “venivano trasmessi e posti a conoscenza” ai manager di Tod’s.

“Enormi profitti grazie a manodopera sottopagata”

“Da queste dinamiche produttive a bassissimo costo, la società ha degli indubbi vantaggi economici che si traducono nella messa in commercio di quei prodotti realizzati in regime di sfruttamento”, scrive il pm Storari. Che evidenzia un “atteggiamento doloso” di chi fa parte di Tod’s, nonostante i famosi “audit” che sarebbero dovuti servire, appunto, e evitare queste situazioni. Invece “Tod’s non ha modificato in alcun modo il proprio modello organizzativo e continua ad avere come fornitori alcuni soggetti coinvolti. Il “sistema illecito ha generato enormi profitti grazie allo sfruttamento della manodopera cinese, pesantemente sottopagata”.

Ancor prima di Tod’s era finita sotto inchiesta la Giorgio Armani Operation spa (per la quale era stata revocato il provvedimento dopo un “percorso virtuoso”, ndr). Lo scorso maggio era stata disposta l’amministrazione giudiziaria per la Valentino Bags Lab, società di produzione di borse e accessori. il pm Storari nel 2024 aveva chiesto e ottenuto i commissariamenti anche di Alviero Martini, Armani operations appunto e Manufactures Dior, poi revocati a seguito delle contromisure adottate dalle società.

I controlli dei Carabinieri sui lavoratori

I militari dell’Arma durante una ispezione del 6 agosto 2025 nell’opificio cinese New Moda di Wen Yongmei hanno scoperto nove operai sfruttati nella filiera di Missoni spa . Analogo numero per Off White Operating; 11 per Adidas e per Yves Saint Laurent Manifatture srl scoperti lo scorso 20 novembre 2025 nella Bag Group srl ( società fornitore anche di Tod’s). Il numero degli operai sfruttati lievita con altri brand: 36 lavoratori per Dolce&Gabbana, 27 per Ferragamo scoperti a lavorare su “capi di abbigliamento” dello storico marchio, 19 per Alexander McQueen, ed altrettanti per Givenchy Italia srl, 17 per Versace, 12 negli appalti di Gucci, 11 per Pinko attraverso la Cris Conf spa, 11 per Prada, e lo stesso numero per Coccinelle spa. Numeri, parziali che potrebbero sembrare all’apparenza piccoli, ma che per la procura di Milano sono un campanello d’allarme che rende “necessario appurare il grado di coinvolgimento” dei brand e delle società madri.

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