Donald Trump si è lamentato a lungo nell’intervista di domenica scorsa rilasciata alla tv americana Abc, contestando il fatto che “nessuno gli ha riconosciuto il merito di essere un grande mediatore”. Il presidente Usa ha auto celebrato i suoi “interventi pacificatori” nel primo mandato alla Casa Bianca (2017-2021): le “dispute” tra Serbia e Kosovo nonché tra Egitto ed Etiopia. Ed ha sostenuto di aver riportato la calma tra India e Pakistan offrendo a entrambi i Paesi “incentivi e facilitazioni commerciali”. Peccato che però, sia stato smentito duramente dal governo di Nuova Delhi.
Il presidente degli Stati Uniti d’ America ha affidato i dossier politici più complicati non a diplomatici con collaudata notevole esperienza, ma bensì a un businessman 68enne come lui appassionato di golf: Steve Witkoff. L’uomo d’affari, noto come affermato immobiliarista, tratta praticamente con tutti: dagli emissari di Ali Khamenei a Benjamin Netanyahu, da Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky. Tornan do indietro con la memoria nel tempo neanche l’ex segretario di stato USA più famoso ed autorevole al mondo Henry Kissinger aveva avuto così tanti problemi da risolvere. Il risultato è che dopo quasi 6 mesi, il bilancio della “formula Trump” è di fatto senza alcun risultato positivo.

La figuraccia più eclatante di «The Donald» è lo stallo sulla guerra in corso in Ucraina, per la quale ha riallacciato il dialogo con Putin, che lo ha quasi ignorato. Trump è arrivato persino a mettere sullo stesso piano l’aggressore russo e la vittima ucraina. Poi ha iniziato a vacillare, alternando aperture e scatti d’ira nei confronti del Cremlino. Tutto ciò, almeno per ora, non è servito a niente. I colloqui tra Russia e Ucraina sono privi di effetti concreti, venendo circoscritti su argo,menti specifici, come lo scambio di prigionieri. Ma la guerra nion si è mai fermata ed un vero e proprio negoziato non è mai iniziato. Lo stile “trumpiano” un mix di incentivi e di minacce, nella realtà dei fatti non ha funzionato. Alla fine dello scorso aprile il segretario di Stato, Marco Rubio, aveva sentenziato: “Questa è la settimana decisiva. O le parti si mettono d’accordo, oppure noi ci dedicheremo ad altro”. Siamo arrivati a metà giugno e nulla è avvenuto, nulla è cambiato.
Nei conflitti tra Russia ed Ucraina, così come in quelli tra Israele ed Iran al di là delle dichiarazioni ufficiali, è evidente che il presidente Trump si sia fatto sottrarre dal premier israeliano Netanyahu la gestione della crisi. La Casa Bianca aveva «concesso» 60 giorni a Teheran per siglare una nuova intesa sul nucleare e quel tempo era scaduto giovedì 12 giugno. E quello stesso giorno, Rafael Mariano Grossi, direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, aveva accusato il regime degli ayatollah di aver violato gli obblighi previsti dal Trattato di non proliferazione nucleare, in vigore dal 1970. Ciò nonostante un negoziato era ancora in corso. Mentre il team americano si preparava a raggiungere l’Oman, per il sesto incontro con gli iraniani, previsto per domenica scorsa15 giugno. Netanyahu ha ordinato di uccidere anche il capo delegazione di Teheran, Ali Shamkhani, stretto collaboratore della Guida suprema Ali Khamenei.

Secondo le indiscrezioni circolate in ambienti governativi, Donald Trump si è reso conto che non sarebbe riuscito a fermare Netanyahu. ed in particolare si è trovato senza alternative. ed alla fine ha preferito assumere una posizione ambigua della serie: andate avanti, se volete, ma non coinvolgeteci. Risultato: gli Stati Uniti stanno seriamente rischiando di trovarsi coinvolti in una guerra che volevano assolutamente evitare.
Analogo discorso vale per il conflitto di Gaza. Nel marzo scorso, l’immobiliarista Witkoff aveva agganciato i leader di Hamas, nonostante la contrarietà degli israeliani. Il consigliere di Trump aveva messo sul tavolo una proposta per un cessate il fuoco di 60 giorni, come base per ulteriori trattative tra i miliziani e il governo di Tel Aviv. Il suo schema prevedeva la liberazione di 28 ostaggi israeliani, vivi o morti, in cambio del rilascio di 1.236 prigionieri palestinesi.
Lo scorso 13 maggio Hamas aveva lasciato andare l’israelo-americano Edan Alexander. Ma restano prigionieri nella Striscia ancora 53 persone, 30 delle quali nel frattempo sarebbero morte. La tregua prospettata da Witkoff non si è mai concretizzata. Netanyahu e i leader di Hamas si sono rimpallati la responsabilità del fallimento della mediazione. Trump a quel punto ha provato a rilanciare, ma senza alcun risultato positivo. Secondo i media Usa, lunedì 9 giugno, il presidente Usa aveva nuovamente parlato al telefono con Netanyahu chiedendogli di fermare la guerra a Gaza e di smettere di ipotizzare un attacco all’Iran. Lo stesso giorno, nell’incontro con i giornalisti accreditati alla Casa Bianca, aveva annunciato che “Teheran era coinvolta nei negoziati su Gaza”.