
È il primo procedimento che riguarda un’indagine sull’Università che approda a una sentenza di secondo grado. La docente accusata di aver copiato integralmente il testo di una studentessa impegnata in un dottorato. Prescritte le accuse di falso, truffa e e violazione delle norme sui diritti d’autore, ma dovrà risarcire l’ Università di Bari

nella foto la Pizzolantein vacanza sull’ Etna
I giudici della Corte d’appello di Bari hanno condannato la ricercatrice universitaria Giuseppina Pizzolante, accusata di un caso di plagio, a risarcire l’Ateneo barese, che nel processo era costituito parte civile. La vicenda è quella riguardante un testo, Le adozioni nel diritto internazionale privato, che la Pizzolante, ricercatrice alla facoltà di Giurisprudenza, secondo le accuse a suo carico mosse dal sostituto procuratore Francesca Pirrelli, aveva copiato integralmente dalla produzione scientifica di Concetta Piscitelli una studentessa impegnata in un dottorato, la quale assistita dall’avvocato Ezio Provaroni ha presentato una denuncia alla Procura barese, dopo essersi accorta che il testo era addirittura stato stato stampato e messo in commercio con la casa editrice Cacucci., La ricercatrice era stata condannata dal gup Ambrogio Marrone nel processo di primo grado grazie all’applicazione del rito abbreviato (che riduce di 1/3 la pena) ad un anno e quattro mesi e al pagamento di una provvisionale all’Università e all’autrice del testo. Nel processo di appello le principali accuse riconosciute inizialmente dal Gup nei confronti della Pizzolante – cioè il falso, la truffa e la violazione della normativa che regola i diritti d’autore – sono cadute, soltanto in quanto dichiarate “prescritte”. Quindi nel processo di 2° grado è stato possibile addebitare alla ricercatrice soltanto l’accusa di calunnia, e pertanto i giudici hanno dovuto ridurre la pena di quattro mesi, che è scesa quindi ad un anno.

nella fotol’ avvocatoAngelo Esposito
A seguito dell’apertura delle indagini, la Pizzolante aveva tirato in ballo l’ avvocato Angelo Esposito, che venne indagato per calunnia e favoreggiamento personale, il quale all’epoca dei fatti era Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, e successivamente imputato nel processo di 1° grado accusato di aver in qualche modo sostenuto la tesi della Pizzolante, e cioè che quella pubblicazione fosse sua e non della denunciante, insieme alla professoressa Gabriella Carella, 57enne docente di diritto internazionale della facoltà di Giurisprudenza, al fine di sostenere l’autenticità della propria millantata produzione scientifica. Secondo la ricostruzione dell’accusa, infatti, la Pizzolante nel tentativo di provare che a copiare fosse stata la querelante e non lei, aveva depositato all’Università e all’Ordine forense un documento retrodatato nel quale compariva anche la parte scritta dalla Piscitelli. A parere del pm Pirrelli, quando le indagini condotte dalla Squadra mobile vennero rese note note, la Pizzolante avrebbe prodotto documenti che provavano l’utilizzo della sua opera in occasione di lezioni all’Ordine ed Esposito si sarebbe dato da fare per esibire quei documenti all’autorità giudiziaria. Di parere opposto l’avvocato tarantino, assistito dall’avvocato Beppe Modesti, il quale sostenne di non aver mai visto quel documento (che riportava la data del 2005, anno in cui Esposito non era presidente) fino al momento in cui fu acquisito dalla polizia nella sede dell’Ordine. Sia l’ avvocato Esposito che la professoressa Carella sono stati assolti dalle accuse processuali a loro carico.
Le dichiarazioni della ricercatrice sono state ritenute calunniose dai giudici, anche perchè il testo della ricerca , risultato dell’accertato plagio, secondo le tesi dell’accusa processuale sarebbe stata utilizzata per ottenere crediti per il concorso per un posto da associato, successivamente bloccato dall’ Università. Adesso nonostante prescrizione dei reati più gravi, Giuseppina Pizzolante dovrà risarcire l’Università per la quale lavora, e la vera autrice del testo da lei spacciato per proprio
“Questa è una vicenda molto triste, ma purtroppo normale — commenta l’avvocato Provaroni —. Non è il primo, non sarà l’ultimo e questo conferma ancora una voltache anche nell’Università non va avanti chi merita e ha delle capacità”. Infatti la ricercatrice Pizzolante nonostante la condanna in primo grado, continua incredibilmente a ricoprire dal 2002 l’incarico di “ricercatrice” come se nulla fosse accaduto , anche se è molto probabile che dopo la condanna in appello, possa essere preso qualche provvedimento nei suoi confronti.
Come si fa a non dare ragione all’ avvocato Provaroni quando si scopre che la Pizzolante nonostante il processo a suo carico ha ricevuto dall’ Università di Bari tutti questi incarichi?

(informazioni tratte dal CV della Pizzolante disponibile online sul sito dell’ Università di Bari)
Il vero quesito da porsi è: chi protegge nell’ Università di Bari la ricercatrice-condannata Giuseppina Pizzolante ?