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18 Settembre 2025 11:39

Michele Cicala e Pietro Buscicchio condannati a 3 anni per la truffa sul gasolio. Esclusa l’aggravante mafiosa

Nel tribunale di Taranto, invece, è in svolgimento un altro processo che vede alla sbarrea proprio il clan capeggiato da Michele Cicala. Tra le varie contestazioni del pm Milto Stefano De Nozza, della DDA di Lecce emerge anche quella di associazione di tipo mafioso

Questa la decisione del collegio giudicante Tribunale di Lagonegro presieduto dal giudice Nicola Marrone è stata emessa la sentenza del Tribunale nei confronti dei pregiudicati tarantini Michele Cicala e Pietro Buscicchio, nell’ambito del processo in Basilicata originato dall’inchiesta denominata “Petrolmafia“. I due erano accusati di aver fatto da sponda al redditizio traffico di ingenti quantitativi di gasolio originato dai clan Diana affiliato alla camorra campana. Inchiesta che deflagrò quattro anni fa grazie ad una vasta operazione delle Fiamme Gialle che portarono alla luce anche la complicità dei due pregiudicati tarantini, chiamati a rispondere dinanzi ai giudici lucani.

Processo nato dall’operazione condotta dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri nell’aprile del 2021 e che portò alle accuse per di circa 60 indagati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi in materia di accise e IVA sugli oli minerali, intestazione fittizia di beni e società, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita. Il Vallo di Diano ombelico di affari criminali tra Caserta e la Puglia.

Condannati a tre anni di carcere i due noti pregiudicati tarantini , difesi dagli avvocati Andrea e Salvatore Maggio, a seguito della decisione dal collegio giudicante che ha però escluso l’aggravante mafiosa nei confronti di entrambi . Il capo del clan dei Casalesi appartenente alla famiglia Zagaria è stato invece condannato a 10 anni di carcere, con il quale secondo gli inquirenti, Michele Cicala avrebbe raggiunto un patto per il riciclaggio di denaro sporco attraverso il commercio illegale di idrocarburi. Il pm Vincenzo Montemurro, della Dda di Potenza, aveva chiesto dodici anni di reclusione per il capoclan dei Casalesi. originaria di San Cipriano D’aversa, diventato socio occulto della società di carburanti Petrullo

Gli investigatori lucani attraverso una complessa indagine, nella quale, erano risultati coinvolti anche Cicala e Buscicchio, avevano messo sotto controllo le operazioni illegali compiute in Basilicata dal pericoloso clan camorristico di Casal di Principe. Tra le diverse contestazioni poste alla valutazione del Tribunale, c’era anche il fiancheggiamento che il clan Cicala avrebbero assicurato al clan campano della famiglia Diana. Tra gli elementi di spicco del clan campano Raffaele Diana (condannato a nove anni così come il figlio Giuseppe), accusato di aver usato i soldi dei casalesi, provenienti dallo spaccio e dall’estorsione, per fare affari illeciti nel Vallo. Per poterlo fare utilizzavano le aziende di idrocarburi Petrullo di un imprenditore pollese (condannato a 9 anni), che in pochi anni è passato da un bilancio quasi pari allo zero a superare i 15 milioni di euro.

Il processo che ha vissuto la sua lunga fase dibattimentale nell’aula bunker di Salerno, vedeva una cinquantina di persone imputate sulla base di quanto riportato nel capo di imputazione, fra i quali Michele Cicala e Pietro Buscicchio, entrambi imputati di aver “fornito un contributo sotto il profilo operativo e organizzativo, rivelatosi utile per la sopravvivenza del gruppo e la realizzazione del programma criminoso, in particolare operando come intermediari per la penetrazione economica del sodalizio nell’area tarantina, nonché fornendo i libretti Uma (utenti mobili agrari), l’elenco delle ditte dove poter scaricare fiscalmente le operazioni fittizie e le indicazioni operative sulle tecniche di emissione delle fatturazioni elettroniche”.

Alla base del procedimento che riguardava il raggiro che sarebbe stato organizzato attraverso il commercio inesistente di carburante destinato ad aziende agricole, e quindi per questo motivo sottoposto ad un regime fiscale agevolato.

In realtà secondo quanto accertato dagli inquirenti dell’antimafia lucana, l’ operazione truffaldina veniva sostenuta da continui flussi di denaro sporco da riciclare dei Casalesi, che volevano vendere il gasolio agricolo a prezzo pieno guadagnando illegalmente anche sulla tassazione agevolata, meccanismo che venne portato alla luce a seguito delle indagini degli investigatori della Guardia di Finanza.

Nel tribunale di Taranto, invece, è in svolgimento un altro processo che vede alla sbarrea proprio il clan capeggiato da Michele Cicala. Tra le varie contestazioni del pm Milto Stefano De Nozza, della DDA di Lecce emerge anche quella di associazione di tipo mafioso, che nella fase cautelare è stata annullata dal Tribunale del Riesame.

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