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19 Aprile 2024 09:17
19 Aprile 2024 09:17

Il senzatetto senza nome e il suo tutto: il suo cane

Questa è una storia d’amore e di cura, di rispetto e di protezione, quegli ingredienti magici che non dovrebbero mai mancare quando si ama davvero. Il suo cane non si allontana mai da lui, non ha catene né guinzagli, ha un legame di cuore, di pelle e di pelo, fatto di rispetto e silenzio. È sempre al suo fianco.

di Valeria Randone*

Questa è una storia d’amore di un uomo, che nel non avere niente ha tutto, e del suo tutto: il suo cane. Abita su un marciapiede, a Catania. Il suo giaciglio è un cartone. È sprovvisto di scarpe e di coperte. Non è in affanno, non mendica, non è ubriaco; sembra non mancargli niente, sta bene così. La sua vita semplice fatta di navigazioni a vista, di albe e tramonti, di pioggia e di sole, senza progetti e talvolta senza pasti, è impreziosita dalla vicinanza di corpo e di cuore del suo inseparabile quattrozampe.

Ha scelto un cane per amico e anche per famiglia. Non lo utilizza per chiedere l’elemosina o per impietosire i passanti, lo ha promosso a compagno e anche a famiglia. Quel cane è tutto per lui.

Il senzatetto è allergico al rumore della vita, ma non a quello del mare; sposta il suo cartone, le sue buste piene di niente e il suo amato cane in base al suo umore, e quando può sosta di fonte al mare. Ama sentire la brezza marina sulla sua pelle. Ama respirare il mare, fare incetta di salsedine e di libertà. Il suo cane non si allontana mai da lui, non ha catene né guinzagli, ha un legame di cuore, di pelle e di pelo, fatto di rispetto e silenzio. È sempre al suo fianco.

Il senzatetto senza nome abita a Catania tra il portone di una chiesa accanto al mio studio e il lungomare. Vive abbracciato dal sole siciliano durante i mesi caldi, che per fortuna al sud sono tanti, e dal suo cane durante quelli freddi.

Dei suoi dolori non si sa granché, si intravedono ferite profonde – non parla con nessuno e sembra avere paura di tutto -, un cuore solitario e sofferente, un corpo defedato dagli stenti e dalle intemperie meteorologiche e della vita. I suoi occhi sono scuri, cerchiati da solchi olivastri che tendono al nero quando è ancora più stanco di sempre. Gli angoli delle labbra virano verso il basso, sono sprovviste di timidi sorrisi – cambiano angolazione e si mettono in orizzontale quando guarda negli occhi e nel cuore il suo cane -, e i denti sono spesso digrignati come se li erigesse a protezione dal mondo esterno.

La pelle è macchiata dal sole ed erosa dal vento. Le mani sono mani di chi un tempo ha lavorato molto, piene di callosità e macchie. I capelli sono incolti, increspati dalla salsedine e dalla polvere, lunghi e trasandati. La barba ricorda un nido appena fatto. E la postura racconta tutto il peso della sua sofferenza e misteriosa storia di vita.

Il senzatetto senza nome sembra essere stato adottato dagli abitanti della zona dove c’è il mio studio; è chiaro che lo considerano uno di famiglia. Continuiamo a turno a sincerarci che ci sia, che non gli sia successo nulla, che lui e il cane non stiano male, soprattutto durante questi mesi torridi e particolarmente pericolosi per chi vive in strada.

Il suo cane è un grosso cane nero, reso sale e pepe dagli anni che passano. Ha una postura incerta perché zoppica da una zampa, ma fiera. Non ama le coccole dei passanti, ma non si ritrae se qualche passante temerario si attarda in una carezza. Non ha mai mostrato segni di insofferenza o aggressività. È sempre vigile anche quando dorme, veglia sul suo amato padrone, controlla tutto e tutti.

I suoi occhi hanno il potere straordinario di parlare al suo posto, sono profondi e luminosi, anche quando tutto intorno è buio. È chiaro che quel cane è un privilegiato: vive con l’uomo che ama di più al mondo e da cui è amato più di ogni bene prezioso. Il loro legame è visibile, inscindibile, prioritario rispetto a tutto.

Quando il quartiere che li ha adottati, con garbo, discrezione e rispetto gli porta il pranzo, il cane non brama affamato e richiedente, rimane silenzioso e immobile, e aspetta.

Il primo gesto che il senzatetto fa è dargli da mangiare, prendere dell’acqua pulita alla fontana, riempire la sua ciotola – quando c’è troppo caldo è sua abitudine bagnargli le tempie -, donargli gran parte del suo cibo e guardarlo con immenso amore e cura mentre mangia. Quello che rimane lo mangia lui. È un rituale lento e rodato che noi della zona osserviamo tutte le volte.

Questa è una storia d’amore e di cura, di rispetto e di protezione, quegli ingredienti magici che non dovrebbero mai mancare quando si ama davvero.

P.S: una mattina, la mia vicina di casa di studio mi ha telefonato allarmata perché il nostro senzatetto era sparito. Siamo subito andate a cercarlo, e per fortuna era al mare. Sembravano un dipinto olio su tela che si sarebbe potuto intitolare “intimità”. Erano seduti sul loro cartone-divano, l’uno accanto all’altro. Le loro schiene si sfioravano immobili. La ciotola del cane era piena d’acqua pulita. E i loro sguardi erano rivolti al mare.

*Valeria Randone è psicologa, specialista in sessuologia clinica, a Catania e Milano (www.valeriarandone.it) e autrice del libro “L’aggiustatrice di cuori – Le parole che riparano”

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