di Ilaria Cerulla
Anche il caro hotel colpisce duro sulle tasche degli italiani. Rispetto a 4 anni fa, a fronte di un’inflazione pari al 17,7%,i prezzi di alberghi, motel, pensioni, bed and breakfast, agriturismi, villaggi vacanze, campeggi e ostelli della gioventù, i cosiddetti servizi di alloggio, sono infatti aumentati del 38,6%. Lo rileva lo studio dell’Unione Nazionale Consumatori sulle città che hanno avuto i maggiori rincari per quanto riguarda gli alberghi, realizzato elaborando gli ultimi dati Istat relativi al mese di luglio e confrontandoli alla scorsa estate e ai tempi pre-crisi, ossia all’estate del 2021, prima della guerra in Ucraina e del decollo dei prezzi, dalla luce al gas
Medaglia d’oro è Venezia, che registra rincari del 64,7%. Argento a Milano (+60%) e bronzo a Firenze (+58,8%). Seguono Grosseto (+57,5%), Lucca (+56,5%), Trieste (+55,5%), Palermo (+53,6%), Napoli (+52,4%) e Como (+51,7%). Chiudono la “top ten” degli aumenti Roma e Reggio Calabria, entrambe con un ragguardevole +50,1%. Nessuna città è in deflazione. La meno costosa, con rincari contenuti, è Massa Carrara con +2,9%, al secondo posto Trapani (+5,8%), terza Parma (+8,3%).

Lo studio rileva che rispetto a luglio 2024, a fronte di un’inflazione generale dell’1,7%, alberghi, motel, pensioni, bed and breakfast, agriturismi, villaggi vacanze, campeggi e ostelli della gioventù, sono saliti in media nazionale in modo più contenuto, +1,3%. Insomma, un dato positivo, se non fosse che in alcune città gli aumenti siano stati decisamente maggiori.
A vincere la classifica della città con i rialzi tendenziali più alti dell’ultimo anno è Lucca, con un balzo del 20,2%. Al secondo posto Caserta, con un incremento annuo del 13,7%, seguita da Rimini con +10,9% e Perugia con +10,2%. Dati molto positivi e insoliti per alcune città che in passato erano in testa alle top ten degli aumenti, come Firenze, solo al 54esimo posto con +0,3% e, addirittura in deflazione, Venezia (66°, -1,3%), Roma (71°, -3%) e Milano, al quarto posto delle virtuose con -7,9%, dopo la vincente, come città risparmiosa, Siena (-12,6%), Mantova (-10,4%) e Pisa, al terzo posto con -9,4%.
Agli aumenti degli stabilimenti balneari, saliti a luglio del 7,3% su giugno 2025, del 5,4% su luglio 2024, del 19,9% sull’estate del 2023 e del 22% sul 2021, si aggiungono quelli delle altre voci legate al turismo, che, messi tutti insieme, visti gli stipendi da anni al palo, costringono gli italiani ad accorciare sempre più le ferie per poter far quadrare i conti o a non partire affatto per le vacanze.

È un peccato che i gestori di stabilimenti balneari italiani, lo scorso dicembre, non abbiano letto il cinquantottesimo rapporto Censis. Sarebbe stato uno strumento utile prima di fissare i prezzi di ombrelloni, lettini e insalate capresi. Non è detto, ma forse con un bagno di realismo avrebbero evitato il crollo di presenze sui bagnasciuga tra il 20 e il 30 per cento, tendenza da pandemia agostana di cui si è molto discusso in questi giorni, accompagnata, pare, da una riscoperta della montagna.
Quel rapporto certificava le difficoltà della classe media, che è poi quella che fa la differenza nei consumi di massa, visto che il 60,5 per cento degli italiani si sente tale. Ora, questa amplissima fascia di popolazione avverte un senso di declassamento sociale. Il problema è il reddito reale, che si sta progressivamente indebolendo, nonostante quello nominale sia in crescita. Gli aumenti contrattuali non hanno recuperato l’inflazione, la pressione fiscale è ancora significativa, il potere d’acquisto è depresso, un po’ come le spiagge italiane di questi tempi.
L’estate sta finendo, un anno se ne va, e il prossimo purtroppo non è quello in cui verranno messe a gara le concessioni. Per vedere applicata la Bolkestein e sperare negli effetti balsamici della concorrenza (se ci saranno), bisognerà aspettare giugno 2027. Se gli indennizzi per i gestori uscenti saranno eccessivamente onerosi, prevediamo che le aste faranno la fine dei lidi e rimarranno deserte.
Intanto, tra guerre e dazi, appare scontato dubitare che il ceto medio si sarà ripreso il potere d’acquisto, e quindi bisognerà inventarsi qualcosa. Ad esempio, migliorare l’accesso e la qualità delle spiagge libere e, per le altre, rimuovere alcuni vincoli da monopolisti, a cominciare dal divieto di consumare negli stabilimenti il cibo portato da casa. Altrimenti “tutti al mare” resterà la colonna sonora di un’Italia smarrita e depressa.