Amazon ha raggiunto un accordo con il fisco italiano per versare 511 milioni di euro nell’inchiesta che riguarda il presunto mancato versamento dell’Iva da parte dei venditori cinesi, rispetto ai quasi 3 miliardi calcolati dalla Guardia di Finanza e dalla Procura di Milano tra imposte, interessi e sanzioni. L’inchiesta addebita al colosso americano di non avere ottemperato nel 2019-2021 ad alcuni obblighi tributari. La cifra si aggiunge ai 212 milioni definiti da Amazon Logistica e Amazon Italia Transport per non incorrere nel rischio di misura interdittiva del divieto di pubblicità richiesta dal pm Paolo Storari per frode fiscale nella eterodirezione digitale dei lavoratori.
“Questo accordo riflette il nostro impegno a collaborare in modo costruttivo con le autorità italiane. Ci difenderemo con determinazione rispetto all’eventuale procedimento penale, che riteniamo infondato“. E’ il commento di Amazon in merito all’accordo che ha aggiunto “Siamo tra i primi 50 contribuenti in Italia e uno dei maggiori investitori esteri nel Paese. Negli ultimi 15 anni abbiamo investito oltre 25 miliardi di euro in Italia, dove impieghiamo direttamente più di 19.000 persone. Contesti normativi imprevedibili, sanzioni sproporzionate e procedimenti legali prolungati incidono sull’attrattività dell’Italia come destinazione di investimento” si sottolinea in una nota.
La tesi del pm nel penale
La multinazionale di Jeff Bezos (187 miliardi di dollari di ricavi e 20 miliardi di utile netto nel 2024) è indagata per “dichiarazione fraudolenta” in base a una innovativa lettura del pm Elio Ramondini della Procura di Milano, alimentata dalla super potenza di calcolo di un elaboratore della “Sogei“ (Società generale d’informatica spa) controllata dal ministero dell’Economia), a proposito dell’algoritmo predittivo di Amazon: e in particolare della sua prospettata indifferenza agli obblighi tributari che pendono invece su chi, come Amazon, metta in vendita sul proprio market-place in Italia merce di venditori extraeuropei (in questo caso prevalentemente cinesi), senza però dichiararne l’identità e i relativi dati all’Agenzia delle Entrate ai fini del pagamento del 22% di Iva da parte del venditore extraeuropeo.

Il futuro dell’inchiesta
Il gruppo Amazon immagina che la Procura non intenda abbandonare la propria lettura di dichiarazione fraudolenta per la quale sono indagati anche tre manager tra cui il vicepresidente “global tax” Kurt Lamp, ma in questo momento ritiene evidentemente più vantaggioso l’accordo fiscale, con il quale peraltro porta a casa anche un insperato alleato processuale (l’Agenzia delle Entrate sulla esclusione di quei rilievi penali di frode fiscale che invece la Procura di Milano insisterà a propugnare) nell’eventuale procedimento penale che in futuro dovesse essere comunque chiesto (e se mai ottenuto) dal pm. Il quale peraltro 10 giorni fa ha parzialmente aperto con l’ipotesi di contrabbando un nuovo fronte, ordinando l’ispezione del centro logistico di Amazon per verificare la provenienza e la «traiettoria» di alcuni stock di beni (destinati alla vendita sul market place) fisicamente presenti e posti sotto sequestro.





