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10 Maggio 2025 02:51

Non è incostituzionale l’abrogazione dell’abuso d’ufficio

I giudici costituzionali hanno dichiarato ""infondate" tali questioni, " nel merito", ritenendo che "dalla Convenzione non sia ricavabile ne' l'obbligo di prevedere il reato di abuso d'ufficio, ne' il divieto di abrogarlo ove gia' presente nell'ordinamento nazionale".

L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, prevista dalla riforma Nordio, non è incostituzionale. È quanto deciso dalla Corte Costituzionale, dopo l’udienza pubblica e la camera di consiglio in cui la Corte ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale sollevate da 14 Autorità giurisdizionali, tra cui la Cassazione. La Corte, spiega Palazzo della Consulta in attesa del deposito delle motivazioni della sentenza (che avverrà nelle prossime settimane), ha ritenuto ammissibili le sole questioni sollevate in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, la cosiddetta Convenzione di Merida.

I giudici costituzionali hanno dichiarato ““infondate” tali questioni, nel merito“, ritenendo che “dalla Convenzione non sia ricavabile ne’ l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, ne’ il divieto di abrogarlo ove gia’ presente nell’ordinamento nazionale”.

Nordio: “Massima soddisfazione”

“Esprimo la massima soddisfazione per il contenuto del provvedimento della Corte Costituzionale, che ha confermato quanto sostenuto a più riprese in ordine alla compatibilità dell’abrogazione del reato di abuso di ufficio con gli obblighi internazionali. Mi rammarica che parti della magistratura e delle opposizioni abbiano insinuato una volontà politica di opporsi agli obblighi derivanti dalla convenzione di Merida. Auspico che nel futuro cessino queste strumentalizzazioni, che non giovano all’immagine del nostro Paese e tanto meno all’efficacia dell’Amministrazione della giustizia”. Lo sottolinea il ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

Unione delle Camere Penali

L’Unione è intervenuta nel giudizio con ben cinque memorie (amicus curiae), elaborate dall’Osservatorio Corte Costituzionale che sono state tutte ammesse dalla Consulta con decreto del 2 aprile 2025, e richiamate nella relazione svolta dal Consigliere relatore davanti alla Corte, nelle quali ha costantemente affermato l’inesistenza di un “obbligo internazionale di incriminazione” e di una clausola di stand still. Secondo l’Unione, l’architrave delle censure, l’art. 19 della Convenzione di Merida – significativamente rubricato (tra l’altro) “reati non obbligatori” – non prescrive affatto, come sostenuto nelle ordinanze di rimessione, l’incriminazione dell’abuso di ufficio ma solo («shall consider adopting») di valutare le misure legislative necessarie a contrastare queste condotte.

L’Unione ha sottolineato la differenza di questa formula rispetto ad altre locuzioni ben più cogenti della stessa Convenzione. Si pensi alla locuzione «shall adopt» degli artt. 16 e 17. Da escludere anche la fondatezza del riferimento alla clausola di stand still ovvero all’esistenza di un preteso obbligo di non depenalizzare il reato di abuso di ufficio dopo l’entrata in vigore della Convenzione.

Questa prescrizione, priva di una base testuale e teorica schiettamente riconoscibile, nei limiti (non incontroversi) in cui è ammessa a livello internazionale, non opera nella materia delle condotte di infedeltà dei pubblici ufficiali ma quando sono in gioco diritti umani nel contesto di un vero e proprio sistema, come nel caso della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

L’Unione, pertanto, esprime piena soddisfazione per questa decisione che riconosce la fondatezza degli argomenti formulati nelle memorie presentate alla Corte e scongiura le gravissime conseguenze sul piano dei principi del diritto costituzionale che la dichiarazione di illegittimità dell’abrogazione dell’abuso di ufficio avrebbe avuto. Sull’opportunità politico-criminale della cancellazione dell’art. 323 c.p. si può discutere. Le pur legittime perplessità sul nuovo assetto dei reati contro la pubblica amministrazione non giustificano arretramenti sul versante del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole, che sarebbe stato travolto dalla dichiarazione di incostituzionalità della legge n. 114 del 2024, e non legittimano l’istituzione su larghissima scala di obblighi di incriminazione internazionale, su basi testuali così fragili, che comporterebbe la fondamentale funzione di garanzia del principio della riserva di legge in materia penale.

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