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14 Luglio 2025 00:51

Dazi Trump al 30% per l’Ue, per l’Italia danni fino a 35 miliardi: è il Sud ad essere il più colpito

Nuova stima dell'Ufficio studi della Cgia, che definisce il valore "praticamente una finanziaria" e lancia il monito sulle regioni del sud

I dazi doganali al 30% voluti dall’amministrazione Trump potrebbero innescare una serie di effetti diretti sulle esportazioni italiane, ma anche indiretti, come l’ulteriore apprezzamento dell’euro, un aumento dell’incertezza dei mercati finanziari e un incremento del costo di molte materie prime, in grado di provocare un danno economico al nostro sistema produttivo fino a 35 miliardi di euro all’anno. E’ quanto emerge da una nuova stima dell’Ufficio studi della Cgia, che definisce il valore “praticamente una finanziaria” e mette in guardia: “A pagare il conto più salato potrebbero essere le regioni del Sud“.


Dazi: la lettera di Trump all’ Unione Europea: tariffe al 30% a partire dal 1 agosto

L’analisi: “Penalizzato in particolare il Sud”

Concentrando l’attenzione solo sulle vendite di beni verso gli Usa, i dazi generalizzati al 30% imposti dal presidente Trump potrebbero penalizzare, in particolare, le esportazioni del Mezzogiorno. A differenza del resto del Paese, infatti, la quasi totalità delle regioni del Sud presenta una bassa diversificazione dei prodotti venduti nei mercati esteri. Pertanto, se dopo l’acciaio, l’alluminio e i loro derivati, gli autoveicoli e la componentistica auto gli Usa e, a catena, altri Paesi del mondo, decidessero di innalzare le barriere commerciali anche ad altri beni, gli effetti negativi per il nostro sistema produttivo potrebbero abbattersi maggiormente nei territori dove la dimensione economica dell’export è fortemente condizionata da pochi settori merceologici.

L’analisi realizzata dall’Ufficio studi della Cgia si fonda sulla misurazione dell’indice di diversificazione di prodotto dell’export per regione; parametro che pesa il valore economico delle esportazioni dei primi 10 gruppi merceologici sul totale regionale delle vendite all’estero. Laddove l’indice di diversificazione è meno elevato, tanto più l’export regionale è differenziato, risultando così meno sensibile a eventuali sconvolgimenti nel commercio internazionale. Diversamente, tanto più è elevata l’incidenza del valore dei primi 10 prodotti esportati sulle vendite all’estero complessive, quel territorio risulta essere più esposto alle potenziali congiunture negative del commercio internazionale.

Le regioni più colpite

La regione che a livello nazionale presenta l’indice di diversificazione peggiore è la Sardegna (95,6%), dove domina l’export dei prodotti derivanti della raffinazione del petrolio. Seguono il Molise (86,9%), caratterizzato da un peso particolarmente elevato della vendita dei prodotti chimici/materie plastiche e gomma, autoveicoli e prodotti da forno, e la Sicilia (85%), che presenta una forte vocazione nella raffinazione dei prodotti petroliferi. Tra le realtà territoriali del Mezzogiorno, solo la Puglia presenta un livello di diversificazione elevato (49,8%). Un dato che la colloca al terzo posto a livello nazionale tra le regioni potenzialmente meno a rischio da un’eventuale estensione dei dazi ad altri prodotti merceologici.

Le regioni meno coinvolte

Ad eccezione della Puglia, le aree geografiche che, invece, potrebbero subire degli effetti negativi più contenuti di quelli previsti in capo alle regioni del Mezzogiorno sono La Lombardia (con un indice del 43%), il Veneto (46,8%), la Puglia (49,8%), il Trentino Alto Adige (51,1%), l’Emilia Romagna (53,9%) e il Piemonte (54,8%).

Nel primo pomeriggio di ieri una nota di Palazzo Chigi traccia la rotta. La premier Meloni non si smarca dall’Ue, anzi fa sapere che “il governo italiano continua a seguire con grande attenzione lo sviluppo dei negoziati in corso tra Unione Europea e Stati Uniti, sostenendo pienamente gli sforzi della Commissione Europea”. E si rivolge di nuovo all’alleato americano sperando “nella buona volontà di tutti gli attori in campo per arrivare a un accordo equo, che possa rafforzare l’Occidente nel suo complesso, atteso che – particolarmente nello scenario attuale – non avrebbe alcun senso innescare uno scontro commerciale tra le due sponde dell’Atlantico“. E conclude mettendo in guardia gli alleati europei: non è il momento di un fallo di reazione. “Ora è fondamentale rimanere focalizzati sui negoziati, evitando polarizzazioni che renderebbero più complesso il raggiungimento di un’intesa”.

In Europa però non tutti la pensano così. Mentre la Germania si muove in sintonia con la linea italiana, con l’invito del governo tedesco all’Ue a “negoziare pragmaticamente” con gli Usa, è ancora una volta il presidente francese Emmanuel Macron a lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Con l’appello a una reazione muscolare della Commissione europea, magari attivando “il meccanismo europeo di coercizione” contro le aziende statunitensi. Fughe in avanti vissute con una certa irritazione a Palazzo Chigi. Del resto anche in Italia la maggioranza non è granitica nella reazione ai dazi Usa.

Martedì il ministro degli Esteri Antonio Tajani sarà a Washington per fare visita all’omologo Marco Rubio, mentre in settimana il Commissario europeo al commercio Sefcovic farà tappa a Roma. Il timore è palpabile. Con i dazi al 30 per cento rischia di andare in fumo una serie di impegni che Meloni è decisa a prendere di fronte agli elettori prima delle politiche, dal taglio delle tasse al ceto medio alla riforma della sanità. Sommate ai gravosissimi impegni per aumentare le spese militari presi con la Nato, le tariffe minacciate da Trump rischiano di chiudere qualsiasi spazio di manovra.

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