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29 Marzo 2024 09:15
29 Marzo 2024 09:15

Renzi ha vinto contro Bersani, D’ Alema, Rossi ed Emiliano: congresso subito e voto dopo l’estate

Un Matteo Renzi un po’ diverso dal solito, ieri alla direzione Pd: è riuscito ad ottenere ciò che più desiderava (primarie entro due mesi), ma senza strappare in modo plateale con i suoi agguerriti avversari interni. Passa la linea del segretario. L’accordo: niente elezioni a giugno

Dopo cinque ore di riunione nel centro Alibert vicino piazza di Spagna a Roma,  assediato da cronisti e fotografi, agenti anti-sommossa  è apparso un  Matteo Renzi un po’ diverso dal solito è riuscito ad ottenere ieri quello che maggiormente desiderava, cioè le primarie del Partito Democratico entro aprile,  ma senza umiliare in modo plateale i suoi avversari interni,  evitando di stuzzicarli come in passato con nomignoli. Una buona prova di stile che in realtà preannuncia un acceso duello dialettico sulla minacciata scissione della minoranza. La Direzione del Pd era convocata per decidere su due punti: il primo, sule modalità e data del congresso del partito,ed il secondo sulla  durata della legislatura e dunque del Governo.

Al termine di una riunione svoltasi in un clima teso ma questa volta senza scivolate di stile da entrambe le parti, Renzi è riuscito a far passare con 107 voti a favore e soltanto 12 contrari,  un documento rispettando i vari passaggi previsti dallo Statuto, apre la strada ad un congresso del Pd che culminerà nella sfida finale delle Primarie, quasi certamente il 30 aprile.

Nelle intese raggiunte dietro le quinte con Dario Franceschini  ministro dei Beni Culturali a capo di un cospicuo gruppi di parlamentari e senatori, l’altra decisione strategica: quella di rinunciare all’ipotesi di elezioni anticipate a giugno.  La decisione di convocare in tempi accelerati il congresso spetta a fine settimana formalmente  all’ Assemblea nazionale del Pd, dinnanzi alla quale Matteo Renzi si presenterà dimissionario, ma questo è solo un dettaglio procedurale.

Nei prossimi giorni e mesi conterà molto il dibattito che si è svolto ieri nella direzione, che era stata convocata fuori sede, in cui Matteo Renzi ha cercato di  volare alto: partendo dalla ribadita autocritica per il risultato negativo del 4 dicembre . “Parlano di rivincita ma il referendum era una finale secca e purtroppo l’ho persa” dice Renzi ma anche nell’impostare le sfide del partito “Improvvisamente è scomparso il futuro dalla narrazione politica italiana, l’Italia sembra rannicchiata nella quotidianità”.

Più di sostanza l’annuncio che “si chiude un ciclo alla guida del Pd“, così come gli attacchi in codice a Massimo D’Alema  quando Renzi ha auspicato una Commissione d’inchiesta sulle banche: “Per mesi si è parlato solo di due o tre banche toscane» quando secondo per il segretario del Pd altrettanto interessanti sono i casi di Antonveneta, della Popolare di Vicenzaaggiungendo dei chiari riferimenti alla disastrosa privatizzazione di Telecom Italia, così come “qualcosina” è arrivata anche a Emiliano con il riferimento all’ex Banca121 (Banca del Salento) e la Banca Popolare di Bari  .

Puntuale la rivendicazione del consuntivo politico a scopo congressuale : “Ho preso un Pd che aveva il 25 per cento e nell’unica consultazione politica lo abbiamo portato al 40,8“.  Adesso per Renzi la vera “partita” si gioca nella capacità di mantenere dentro il Pd l’ala “post-comunista”, perderla sarebbe uno smacco e solo per questo motivo  il segretario ha descritto in termini paradossali i recenti zig-zag della minoranza: “De Luca ha detto che siamo dei masochisti, io non posso essere sadico: va bene tutto ciò che serve per creare un clima per sentirsi a casa, ma quando si ha paura di confrontarsi con la propria gente, io credo che l’ennesimo passo indietro non sarebbe capito neanche dai nostri“.

Durante il dibattito il governatore della Regione Toscana Enrico Rossi non ha ancora sciolto la “riserva” alla propria candidatura, mentre il suo collega pugliese Michele Emiliano non aspettava altro, pur potendo contare a stento su due deputati e qualche consigliere regionale, uno dei quali peraltro sotto processo. Ma anche Emiliano avrà qualche difficoltà, a partire da quella dovrà fare la sua campagna elettorale con un macigno sulle spalle, e cioè il procedimento dinnanzi al Consiglio Superiore della magistratura richiesto dal Procuratore Generale della Suprema Corte di Cassazione, rinviato grazie allo “stratagemma” procedurale di Emiliano di cambiare difensore.

Un Emiliano imbarazzante nel suo intervento,  che a un certo punto implora Renzi: “Matteo, non mi guardare con la faccia che facevi con Bersani, fammi un’altra faccia…. Il Movimento 5 Stelle della Puglia ha chiesto le dimissioni del presidente della Regione, Michele Emiliano, che “candidandosi alla segreteria nazionale del Pd ha tradito tutte quelle persone che avevano creduto in lui e ha tradito il suo mandato da governatore”. “E ciò che è peggio – hanno aggiunto i dirigente pugliesi pentastellati  in una nota – ha di nuovo tradito le sue stesse parole Come farà Emiliano a condurre una campagna elettorale occupandosi al tempo stesso dei problemi della sanità pugliese, della xylella, dell’acqua pubblica, dell’emergenza rifiuti, dei disoccupati, di famiglie che non arrivano alla fine del mese? E se venisse eletto, chi si occuperebbe dei pugliesi?”. Secondo i consiglieri regionali pugliesi del  Movimento 5 Stelle  “questa Regione ha bisogno e merita una vera possibilità. Una terra incantevole, meravigliosa ma con tanti tanti problemi da risolvere che attende solo di essere governata da persone che – hanno concluso – la amino sinceramente e si dedichino anima e corpo a lei senza pensare unicamente alle proprie ambizioni personali”.

 

 


Il Renzi vero viene fuori alla fine.
Nelle repliche, quando si butta alle spalle le premure usate nell’intervento inziale: non erano da lui. Ed infatti Renzi dopo aver ascoltato Bersani con espressione di sufficienza,  sicuro dell’asse con Dario Franceschini, fa il Renzi. Della serie: “O la va o la spacca“: così, dopo due mesi di tentennamenti. Ed attacca così: “Non siamo soli a rappresentare il Pd. Ci sono centinaia di migliaia di iscritti e la chance per un loro coinvolgimento è il congresso. Dopo due mesi che avanziamo proposte, salvo il giorno dopo cambiare posizione, un punto va messo. Non io, non noi ma l’assemblea. Abbiamo cambiato linea una volta alla settimana per le esigenze di tutti… Abbiamo proposto il congresso e ci è stato risposto: no. Abbiamo proposto la conferenza programmatica ed è stato no. Le primarie no. C’è un limite a tutto. De Luca ha detto che siamo un po’ masochisti”.

Il governatore campano De Luca ha spezzato una lancia a favore di Renzi, ed almeno per ora non si è fatto convincere dal cantico delle sirene del suo collega meridionale Emiliano: “Dico no all’interdizione del segretario eletto di esprimere la sua posizione..”. , e  dopo il suo intervento se ne va non senza aver dato volutamente una pacca sulla spalla per Renzi. Il resto è la “conta”. Si è votato due documenti diversi e completamente opposti. C’è quello “renziano” a prima firma del senatore Franco Mirabell   un “fedelissimo” di Dario Franceschini. E’ il documento che chiede il congresso subito: breve, non esplora altri temi, né il governo, né la data del voto. E dopo arriva il documento della minoranza riunita intorno a Pierluigi Bersani , Massimo DAlema (che evidentemente non ha ancora trovato un volo per Bruxelles dopo aveva promesso di rintanarsi dopo il referendum) , e la “new entry” Michele Emiliano che con un piede si è già auto-candidato al congresso ma acconsente a fare squadra con gli altri per frenare il segretario e celebrare l’assise in autunno.

“Caro Pier Luigi, se qualcuno vuole usare il congresso -la risposta di Renzi a Bersani  – per decidere la linea sulle elezioni lo faccia. Io lo ritengo irrispettoso verso il presidente della Repubblica, il governo e i parlamentari…”,  e neanche il tema di aspettare la legge elettorale può frenare il congresso: “Anche nel 2013 non c’era la legge elettorale, c’era appena stata la sentenza della Consulta sul Porcellum come oggi sull’Italicum e io cominciai la campagna congressuale da Bari”, è la frecciata a Emiliano che allora lo faceva il “renziano” dimenticando oggi lo scambio di cortesie al vetriolo con D’ Alema.

Nessuna scissione. E Renzi aggiunge: “Non voglio nessuna scissione: se deve essere, sia una scissione sulle idee, senza alibi, e non sul calendario. Agli amici e compagni della minoranza voglio dire: mi dispiace se costituisco il vostro incubo, ma voi non sarete mai il nostro avversario, i nostri avversari sono fuori da questa stanza. Non possiamo più prendere in giro la nostra gente“.

Congresso come l’ultima volta. Quindi, tornando sul congresso, conclude, senza annunciare apertamente le sue dimissioni, ma facendole sottintendere Renzi ha detto : “Facciamo il congresso, non sarò il custode dei caminetti. Usiamo le regole dell’ultima vota – cioè quelle del congresso in cui si sfidò con Gianni Cuperlo n.d.a. – ma torniamo alla politica“. E ricorda i suoi successi: “Ho preso un partito al 25% e l’ho portato al 40,8%. Ho dato una casa europea al Pd, inserendolo nel Pse. Ma ora si chiude il ciclo. E chi perde rispetta l’esito del voto. Io non dico andate, dico venite, confrontiamoci, vediamo chi ha più popolo“.

Le elezioni. Per Renzi non c’è urgenza di andare al voto: “Il congresso del Pd non si fa per decidere quando si fa alle elezioni politiche: prima o poi si andrà a votare. Il congresso serve per essere pronti quando ci sarà il voto”.

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