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29 Marzo 2024 01:20
29 Marzo 2024 01:20

Marò, vergogna italiana

Ottocento giorni. Più di due anni completamente perduti. Il contenzioso che riguarda i due Marò bloccati in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sta assumendo i contorni di una farsa. Ottocento giorni di attesa significa sospendere due esistenze, rovinando famiglie, progetti, sogni e aspettative. E se ai cinici non interessa l’aspetto umano della vicenda, allora ci manteniamo sul pragmatismo: ottocento giorni significa il fallimento della politica e della credibilità di una democrazia occidentale.

 

CdG marò

 

Se a pochi amanti della divisa interessa la sorte dei due Marò, la maggioranza degli italiani non può far finta di non capire che l’Italia esce totalmente vilipesa, umiliata e screditata da questa Odissea kafkiana.  Non è l’unica cosa che fa male. Ancora peggio è assistere alla pochezza di tanti italiani che hanno preferito banalizzare la questione, riducendola ad una mera disputa forcaiola e giustizialista, se non addirittura ad un pretesto per gettare ulteriore fango sugli uomini in divisa.  “Marò assassini”, “Tornate a casa in una bara” alcuni slogan beceri ululati dai soliti “Acab”, improvvisatisi giudici.  Già, perché c’è un aspetto forse dimenticato ma non esattamente secondario: ancora non si sa se i due fucilieri siano colpevoli. Se, quindi, siano davvero “assassini”. Di più: non si sa neppure dove debbano essere processati, se in India o in Italia. Tutto questo nonostante siano passati ottocento giorni. Ottocento giorni di cosa? Di nulla. In questo frangente abbiamo assistito a fallimenti in serie da parte dei tre esecutivi che si sono succeduti: prima Monti, poi Letta, infine Renzi. Un climax ascendente, ma in senso negativo: sempre peggio. Sono lontani i tempi in cui il discutibile operato di Monti e Terzi faceva storcere il naso a chi si chiedeva per quale motivo l’Italia si facesse prendere per il naso da un potenza emergente (ma non ancora emersa) come la Cina. Oggi è tempo di rimpiangere quel governo fallimentare, perché i successivi sono riusciti a fare peggio.

Il silenzio, il disinteresse delle istituzioni nei confronti dei due Marò è sempre più imbarazzante. Ogni tanto qualche esponente politico si ricorda di loro. L’ultimo è stato Pierferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del senato, che ha assicurato “Non ci siamo dimenticati di loro”. Belle parole, ma non si direbbe.La politica sui Marò ha taciuto e continua a tacere. Ha taciuto quando l’India ha fatto indebitamente la voce grossa, quando sono cominciate ad emergere alcune prove che avrebbero potuto scagionare i due fucilieri, quando era il momento di battere i pugni sul tavolo per far valere il diritto internazionale (o quantomeno discuterne), quando i Marò sono stati insultati e offesi da cittadini che dovrebbero rispettare i servitori dello Stato, quando l’India s’è permessa di usare Latorre e Girone come argomento di una serrata campagna elettorale, quando Ue e Onu hanno fatto candidamente capire di non essere interessati al problema e di voler lasciare sola l’Italia. E tace ora, dopo 800 giorni senza esito.  Il contenzioso continua, ma l’impegno di Elio Vito, presidente della Commissione Difesa alla Camera, l’unico a mantenere rapporti diretti e fitti coi due fucilieri e le loro famiglie, non basta se non è spalleggiato da un esecutivo davvero forte, coeso e soprattutto intenzionato a dare una svolta. Mogherini e Pinotti non stanno mantenendo le promesse, Renzi probabilmente non sa neppure chi siano i due fucilieri “rapiti” in India. Le divise non piacciono a tutti gli italiani. I presunti assassini non ancora neppure processati piacciono ancor meno all’Italia manettara, purtroppo sempre più numerosa. I Marò non portano voti e consenso, questo Renzi lo sa. Le treccine ai bambini congolesi della Boschi e la cristiana salvata dalle persecuzioni del Sudan, invece, commuovono. Belle notizie, anzi di più: lodevoli.  Ma un Paese serio, una democrazia occidentale, non deve limitarsi a commuovere la gente. Deve anche avere rispetto dei propri servitori. L’Italia non lo sta dimostrando.

 

 

 

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