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25 Aprile 2024 13:08
25 Aprile 2024 13:08

Operazione anti-‘ndrangheta in Calabria, Arrestato consigliere regionale FdI. Indagato il sen. Siclari

Creazzo esponente di Fratelli d' Italia è finito agli arresti domiciliari. Nell'indagine coinvolto anche il senatore Siclari, esponente di Forza Italia, il cui fratello a dicembre 2019 era finito in un'indagine della Dda di Reggio Calabria. Oltre che in provincia di Reggio Calabria, infatti, numerosi arresti e perquisizioni sono stati eseguiti in Lombardia e in altre regioni. In particolare il blitz ha riguardato pure le zone di Milano, Bergamo, Novara, Lodi, Pavia, Ancona, Pesaro Urbino e Perugia.

ROMA – È in corso dalle prime ore di questa mattina una vasta operazione denominata “Eyphemos” che vede impiegati circa 600 agenti della della Polizia di Stato, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, finalizzata all’esecuzione di 65 ordinanze di custodia cautelare, di cui 53 in carcere e 12 agli arresti domiciliari.

Oltre che in provincia di Reggio Calabria, infatti, numerosi arresti e perquisizioni sono stati eseguiti in Lombardia e in altre regioni. In particolare il blitz ha riguardato pure le zone di Milano, Bergamo, Novara, Lodi, Pavia, Ancona, Pesaro Urbino e Perugia.

Gli investigatori della Squadra Mobile di Reggio Calabria e del Commissariato di P.S. di Palmi (RC), con il coordinamento dello S.C.O. Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, coadiuvati dagli operatori dei Reparti Prevenzione Crimine e di diverse Squadre Mobili del Centro e Nord Italia, stanno eseguendo anche numerose perquisizioni.

 

Dal focus delle indagini incentrate sul territorio di Sant’Eufemia d’Aspromonte è emerso che in seno al locale eufemiese in cui coesistono almeno tre diverse fazioni – quello dei Cannizzaro, quello riferibile a “u diavulu”  e quello riconducibile ai Laurendi– alla fine del 2017 e nel 2018 si registrò una spaccatura interna. Due articolazioni mafiose, l’una facente capo ai Laurendi e l’altra a Ida, erano sostanzialmente entrate “in guerra fredda” tra loro, nel tentativo di prendere l’una il sopravvento sull’altra, ricorrendo a continue affiliazioni (soprattutto irregolari, alle quali aveva proceduto la frangia contrapposta a quella del Laurendi ) che miravano ad implementare l’organico, con la finalità ultima di imporre ciascuna la propria linea strategica criminale ed acquisire, pertanto, maggiore peso criminale nell’ambito dello stesso locale.

La corsa sfrenata ad affiliare nuovi ‘ndranghetisti, oltre a consentire nei fatti l’ingresso nel locale di ‘ndrangheta di soggetti non sempre ritenuti idonei sotto il profilo criminale o, comunque, non dotati dei requisiti di affidabilità necessari, creò non pochi disordini interni e l’insorgere di malumore, soprattutto all’interno dello schieramento capeggiato da Laurendi che non tollerava non solo l’irregolarità delle affiliazioni effettuate dall’altro gruppo, ma anche il fatto che queste fossero state poi sostanzialmente convalidate dal boss Luppino.

Il gruppo laurendiano esercitò non poche pressioni affinché i vertici del locale, custodi delle regole inviolabili dell’onorata società  prendessero una posizione ferma e rifiutassero di ratificare gli irregolari riti di affiliazione operati dalla frangia opposta.

Contrariamente agli intendimenti dei laurendiani, all’interno del locale fu piuttosto effettuata una scelta di compromesso che prevedeva, da una parte, la regolarizzazione dei riti già eseguiti, ma nel contempo il divieto di effettuarne di ulteriori, attraverso la fissazione di una sorta di periodo di sospensione. La decisione adottata dagli anziani del locale circa le irrituali affiliazioni determinò la reazione furibonda dei Laurendi che, sostenuto dai suoi più vicini sodali, officiò alcuni “battezzi” e ne programmò altri, pretendendo l’assenso anche successivo da parte degli altri primari del locale, al fine di restituire equilibrio tra le due frange mafiose, fino agiungere a meditare una scelta ancora più dirompente, come la creazione di un banco nuovo e il rimescolamento delle cariche con equa ripartizione tra le due anime interne della cosca.

L’idea era anche quella di creare un nuovo locale di ‘ndrangheta indipendente dagli Alvaro imperanti a Sinopoli, che potesse ottenere il riconoscimento del Crimine di Polsi. Il locale di ndrangheta eufemiese dipende funzionalmente, come detto, dalla vicina cosca degli Alvaro, alla quale tributa onori e riconoscimento oltreché sottomissione gerarchica; ha instaurato forme di utilitaristica interazione con consorterie di diversa matrice mafiosa; ha infiltrato con propri uomini anche la cosa pubblica, ossia il Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte, sul quale esercita influenza e governa le attività economiche imprenditoriali.

L’inchiesta ha confermato anche come la cosca ‘ndranghettista di Sinopoli da tempo abbia allungato  i propri tentacoli e diramazioni in Lombardia, nel pavese, nonché in Australia dove è presente un locale di ‘ndrangheta, dipendente direttamente dalla casa-madre calabrese degli Alvaro.

Dalle indagini della Squadra Mobile è emerso che gli esponenti di vertice del locale di Sant’Eufemia d’Aspromonte sedevano ai tavoli in cui venivano prese decisioni importanti che riguardavano il locale australiano. Alcuni ‘ndranghettisti in passato si erano perfino recati in Australia per risolvere delle controversie legate alla spoliazione di un sodale che venne sanzionato per una trascuranza ma non espulso dai ranghi della ‘ndrangheta.

Le ordinanze sono state emesse nei confronti dei capi storici, elementi di vertice e affiliati di una pericolosa locale di ‘ndrangheta operante a Sant’Eufemia d’Aspromonte [RC] – funzionalmente dipendente dalla potente cosca Alvaro imperante a Sinopoli, San Procopio, Cosoleto, Delianuova località in provincia di Reggio Calabria e zone limitrofe – ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, diversi reati in materia di armi e di sostanze stupefacenti, estorsioni, favoreggiamento reale, violenza privata, violazioni in materia elettorale, aggravati dal ricorso al metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta, nonché di scambio elettorale politico mafioso.

Le ordinanze di custodia cautelare riguardano capi storici, elementi di vertice e affiliati di un “locale” di ‘ndrangheta dipendente dalla cosca Alvaro, considerata tra le più attive e potenti dell’organizzazione criminale. Per 53 delle persone coinvolte é stata disposta la custodia cautelare in carcere, mentre le restanti 12 sono ai domiciliari. Sono accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, vari reati in materia di armi e di droga, estorsioni, favoreggiamento reale, violenza privata, violazioni in materia elettorale, reati aggravati dal ricorso al metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta e di scambio elettorale politico mafioso.

Arrestati  capi storici della ‘ndrangheta, luogotenenti e giovani leve che condizionavano totalmente la vita di Sant’Eufemia e di tutto il comprensorio aspromontano. Fra loro ci sono Domenico “Micu” Alvaro (cl.77), Salvatore “Turi Pajeco” Alvaro, Cosimo “Spagnoletta” Cannizzaro (cl.44), l’imprenditore Domenico “Rocchellina” Laurendi e Francesco Cannizzaro alias “Cannedda” (cl.  1930) uno dei patriarchi della ‘ndrangheta, fra i partecipanti allo storico summit di Montalto del 1969 che ha sancito l’unitarietà della ‘ndrangheta. Nuove accuse hanno raggiunto in carcere anche il boss Cosimo Alvaro “Pelliccia”, già detenuto per altra causa.

Domenico Creazzo consigliere regionale di Fratelli d’Italia , eletto nella consultazione elettorale del 26 gennaio scorso , con 8mila voti,  sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte, è tra le 65 persone arrestate dalla Polizia di Stato nell’ambito di un’operazione contro la ‘ndrangheta coordinata dalla Dda di Reggio Calabria.  Fino a poco tempo fa Creazzo era attiguo al centrosinistra (che lo ha sostenuto per la vicepresidenza dell’Ente Parco Nazionale d’Aspromonte) e alle ultime regionali candidato con il partito di Giorgia Meloni.

Per Creazzo l’accusa è di scambio elettorale politico-mafioso.Secondo quanto emerso dalle indagini sarebbe stato aiutato e sostenuto in campagna elettorale dal boss ‘ndranghettista  Domenico Laurendi esponente della cosca dell’ Aspromonte attraverso il fratello Antonino Creazzo (ed in seguito direttamente), in grado secondo gli inquirenti “di procacciare voti, in cambio di favori e utilità, grazie alle sue aderenze con figure apicali della cosca Alvaro e poi direttamente, al fine di sbaragliare gli avversari politici”

Creazzo non è l’unico politico calabrese ad essere coinvolto nell’indagine antimafia. Secondo la Dda, la ‘ndrangheta è riuscita a collocare propri membri ai vertici del governo, dell’assemblea elettiva e all’interno degli apparati dell’amministrazione comunale di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Con il ruolo di capo, promotore ed organizzatore dell’associazione mafiosa è stato arrestato il vicesindaco Cosimo Idà, artefice di diverse affiliazioni che avevano determinato un forte attrito con le altri componenti del locale di ‘ndrangheta eufemiese e l’alterazione degli equilibri nei rapporti di forza tra le varie fazioni interne allo stesso.

Con la contestazione di partecipazione all’associazione mafiosa sono stati arrestati in esecuzione della misura cautelare della custodia in carcere anche il presidente del consiglio comunale Angelo Alati, ritenuto “mastro di giornata” della cosca, il responsabile dell’ufficio tecnico ingegnere Domenico Luppino ritenuto referente della cosca in relazione agli appalti pubblici del Comune, e il consigliere di minoranza Dominique Forgione che aveva il compito di monitorare gli appalti del comune per consentire l’infiltrazione da parte delle imprese riconducibili alla cosca eufemiese.

Coinvolto nell’indagine ed indagato anche Marco Siclari, senatore di Forza Italia  fratello del sindaco di Villa San Giovanni a dicembre coinvolto in un’altra indagine della Procura di Reggio Calabria. Nei confronti del senatore Siclari, la Dda  ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione a procedere.

Secondo la Dda, la ‘ndrangheta eufemiese appare antica e moderna ed ancorata a vecchi rituali ma fortemente proiettata ad infiltrarsi con sempre più decisione nel settore socio-economico ed imprenditoriale, anche attraverso un’oculata attività di infiltrazione negli apparati della pubblica amministrafzione.

Nel corso delle indagini della Squadra Mobile guidata dal dirigente  Francesco Rattà, sono state rintracciate e sequestrate numerose pistole e fucili. Dalle intercettazioni, inoltre, gli indagati facevano riferimento a un bazooka e alla fabbricazione di un ordigno esplosivo commissionato dai boss Gallico. Una bomba ad alto potenziale che sarebbe servita a distruggere o danneggiare gravemente l’abitazione storica della famiglia mafiosa di Palmi, confiscata e destinata ad ospitare la nuova sede del commissariato di Polizia.

I particolari dell’operazione sono stati resi noti nel corso della conferenza stampa che si è tenuta questa mattina in Questura, alla presenza del Procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri e del Procuratore Aggiunto Calogero Gaetano Paci, del Direttore Centrale Anticrimine Francesco Messina, del Questore di Reggio Calabria Maurizio Vallone e del Direttore del Servizio Centrale Operativo Fausto Lamparelli.

Nell’inchiesta si innestano anche  altri inquietanti episodi, e questo denota la particolare pericolosità del sodalizio criminoso,  che comprovano il totale asservimento di alcuni esponenti politici alla ‘ndrangheta eufemiesee degli Alvaro. Il Sindaco del Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte, nel coltivare e realizzare il progetto di candidarsi e vincere le ultime elezioni regionali (gennaio 2020), si era rivolto alla ‘ndrangheta, ovvero ai Laurendi i quali si erano subito dichiarati disponibile a sposarne l’iniziativa politica che avrebbe portato il candidato ad essere eletto Consigliere Regionale.

Ciò che è emerso chiaramente dalle indagini è che per motivi di strategia e di opportunità, si era quindi statuito che il Sindaco evitasse frequentazioni o anche il semplice accompagnamento con soggetti notoriamente inseriti nell’ambiente della criminalità organizzata e portasse avanti una campagna elettorale sobria.

L’intendimento però non era quello di chiudere le porte alla ‘ndrangheta, il cui bacino di voti avrebbe potuto fare la differenza con gli altri candidati, tanto che si era pensato non di rinunciare a quel tipo di sostegno, quanto di delegarne la richiesta ad intermediari che, in quanto meno esposti pubblicamente, avrebbero potuto relazionarsi, dando meno nell’occhio, con gli ambienti mafiosi.

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