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19 Aprile 2024 07:43
19 Aprile 2024 07:43

Un altro caso di ricatto sessuale sul social network Facebook. Ma cosa aspettano le Autorità, lo Stato ad intervenire ?

La testimonianza di Marta, vittima del revenge porn che si è ritrovata immagini private su gruppi chiusi e  account fittizi a suo nome in cui appariva nuda. E che ha deciso di denunciare l'aggressore. Per uscire dall'inferno e perché vuole che la sua sofferenza non sia inutile
La mia vita era cambiata già prima, con un uomo pessimo da cui sono andata via e che si è vendicato in mille modi. Poi hanno tentato di distruggermi, ma non gliel’ho data vinta. Adesso è in corso un complesso processo penale. Spero che quel mostro finisca in galera. E questa è la mia storia”. Una storia raccontata dal settimanale L’ESPRESSO a proposito di brodi di coltura dello stupro, di cyberbullismo a sfondo sessuale e di quei gruppi privati misogini e sessisti che infestano Facebook,
La chiamano “revenge porn”  la condivisione sui social (e su Telegram e Whatsapp) di scatti di vita intima di coppia da parte di ex fidanzati vigliacchi e psicopatici e dei branchi di squallidi uomini che riescono ad aggregarsi online in Gruppi che i socialnetwork dovrebbero bloccare immediatamente e fornire alla Polizia immediatamente tutti i dati possibili per identificarli. Per rappresaglia, senza nessun consenso femminile. Parecchie donne, messe alla gogna su Internet, meditano ogni giorno di farla finita. Temono di essere entrate in un tunnel della vergogna senza uscita. Credono di dover espiare una colpa arcana. Si sentono gli sguardi morbosi estranei puntati addosso.
 

Foto private rubate che si diffondono in ogni angolo della Rete dove si annidano maniaci sessuali e uomini repressi, mentre sono ancora poche le donne che hanno coraggio e trovano la forza di reagire, di denunciare. Marta, (il nome è di fantasia) ha un po’ più di trent’anni è una di queste eccezioni: “Ho convissuto con un uomo. Lo amavo moltissimo. Era geloso e irascibile, ma lo chiamava amore. Diceva che era geloso perché mi amava troppo. Era iscritto a una serie di gruppi Facebook più o meno segreti. Passava tantissimo tempo attaccato al cellulare. Ero infastidita da questa sua ossessione per Facebook, ma di tanto in tanto mi faceva vedere i contenuti. Ancora non si parlava di donne e di sesso, o forse me lo ha tenuto nascosto, ormai non so più dirlo”.

Il rapporto tra i due si è logorato e quando la ragazza ha deciso di lasciarlo, è iniziato il suo incubo. “La situazione si fa subito oscura. Lui comincia a contattare chiunque potesse conoscermi riversando bile, odio e insulti. Inizia a minacciarmi di utilizzare le foto intime che aveva scattato nei due anni trascorsi insieme se avessi osato raccontare di lui. Io taccio, non proferisco sillaba. Una mattina però mi chiama un mio conoscente, dicendomi: “Guarda che mi è arrivata una tua richiesta d’amicizia su Facebook, ma con un altro tuo profilo, pieno di scatti non proprio edificanti. Sei davvero tu quella?”.

È l’inizio del suo inferno mediatico: “Diciassette account con il mio nome e cognome, affollati sia di foto prese dalla mia pagina Facebook ufficiale che dal suo cellulare. E queste ultime contengono anche scene di sesso, o con me nuda: immagini immortalate dal suddetto nel corso della nostra relazione sentimentale. Diciassette profili falsi in un solo mese”. Fantasmi maligni, contagiosi e per lo più anonimi sbattono le loro mani luride intorno alla preda: “Io li segnalo uno dopo l’altro. Mi faccio aiutare dagli amici. E si trasformano tutte le mie abitudini quotidiane. Ogni mattina, per esempio, ora cerco ossessivamente le mie generalità su Facebook. Trovandomi spesso riprodotta come natura mi ha fatta e bersagliata da commenti sprezzanti: umiliata e offesa”.

Cronaca di una spirale perversa: “A quel punto il mio ex prende a pubblicare le foto su un gruppo Facebook. Me lo riferisce una persona fidata a cui era stato chiesto: “Ma quella non è la tua amica?. Cliccando su un link ben visibile si è rimandati a un post farcito di mie istantanee, corredate da storie inventate di sana pianta su miei presunti rapporti lascivi e su un mio fantomatico passato di pornostar involontaria. Non mancano dettagli inerenti la mia famiglia e il mio indirizzo di casa, con tanto di street view di Google Maps. Il bastardo intanto se la ride e mi dipinge come una sgualdrina. Parallelamente, continuano a giungermi messaggi e richieste di amicizia da perfetti sconosciuti con battute triviali, allusioni, foto mie, foto loro (o meglio dei loro genitali), ingiurie di ogni genere, minacce e richieste esplicite di sesso. Almeno un migliaio i contatti di questo tenore. Io che su Facebook nemmeno li ho mille amici”.

Facile…. in teoria, affidarsi alla legge: “Alla fine vado in questura, all’anticrimine. Non alla Polizia Postale: gli uffici del mio capoluogo di provincia sembrano inaccessibili e se chiami spiegando l’accaduto devi innanzitutto illustrare come funziona Facebook e i suoi gruppi. Provo a denunciarli questi gruppi, ma incorro in risposte disarmanti come “Eh ma lei non doveva farsi fare queste foto”. Alla fine cambio Questura; ma anche lì sulle prime fanno storie, questa volta adducendo ragioni giurisdizionali perché io risiedo da un’altra parte. Eppure Internet non è una città, non ha localizzazioni geografiche precise e se devi spiegarlo alla Postale, è grave”.

 

La via crucis di Marta dura mesi : ero distrutta, tutte le persone che mi conoscono mi hanno vista fare sesso, e non per mia scelta. Ho perso molti pseudo-amici” finché un tribunale non emette un’ordinanza e l’ex di Marta si vede sequestrare tutti i devices connettibili a Internet. Ha inizio un procedimento giudiziario con diversi capi d’accusa: dalla sostituzione di persona alla diffamazione ai maltrattamenti fisici. Il gip dispone il suo divieto di avvicinamento alla ragazza che millantava di amare. E il processo è ancora in corso. Le foto di Marta finiscono nel frattempo in uno sconcertante “archivio”, in un “dossier” tuttora scaricabile da Google di video e immagini hard che hanno come “star” anche minorenni.

Mittenti, i partner vendicativi; destinataria, l’orda famelica del web; esecutori materiali, malati sessuali, uomini  dalla libido repressa magari di buona famiglia. Qualche nome di queste cartelle dell’infamia? Da “Il canile” a “Bagasce con nome e cognome”, passando per “Degradoland”.

Io ero nella directory “Cagne con nome e cognome– dice Marta –  E spiega che segnalare ed ottenerne la rimozione da Facebook non è semplice. Quasi impossibile. Google e Dropbox invece eliminano quasi sempre i file contestati, una volta descritto il contenuto.

Facebook invece non li rimuove quasi mai i suoi gruppi più volgari, e quando prova a farlo, quelli rinascono di nuovo sotto ritoccate spoglie. Per perseguirli legalmente bisognerebbe aprire rogatorie internazionali, ma sarebbe molto più facile se i socialnetwork collaborassero realmente con le forze dell’ ordine. Marta – racconta L’ESPRESSO – ha visto molto da vicino l’occhio di uno dei più terribili ciclopi del nostro tempo. Si è salvata soltanto perché è di temperamento e carattere forte, perchè ha una famiglia che ha capito, che l’ ama e non la molla mai ed ha una “fede brutale che invece di spingermi al suicidio mi tiene in piedi in questa guerra, per ottenere giustizia per me e le altre”.

Per tanti mesi non ha trovato però il coraggio di uscire di casa, ha avuto paura “perché quegli imbecilli depravati sapevano dove abitavo e non pochi sono arrivati fin sotto casa mia. Ho dovuto imparare a difendermi, anche nella vita reale, da chi mi urlava “troia” per strada. Ho cambiato molte abitudini, non faccio più lavori a contatto col pubblico per timore di essere riconosciuta. E se qualcuno mi chiede l’amicizia su Facebook, invece di pensare di potergli piacere sospetto che voglia accedere al mio privato per brandirlo contro di me”.

Marta non si fida più degli uomini, non ha una relazione, “loro non vogliono una donna con un peso così grande sulle spalle. E io non sarò serena fino a quando il mio ex non sarà punito”. Marta combatte anche per le tante ragazze più giovani che stanno rivivendo la sua stessa odissea ancestrale, nonostante vada in scena su potenti, candidi computer di ultimissima produzione: “Ho bisogno di sapere che la mia sofferenza aiuterà altre come me”. Nel nome di chi non ce l’ha fatta e di tragedie da scongiurare come quella di Tiziana Cantone.

Sono tutti gruppi Facebook chiusi, ad iscrizione e l’unico modo per introdursi è quello di fingersi uno di loro. Un “vero maschio” che parla come un giornale porno anni ‘70 e per cui la parità tra i sessi è la più grande mistificazione. Eccoci precipitati nel gorgo dell’ultra-misoginia 2.0. Il gruppo Cagne in calore conta oltre 18 mila iscritti. Christian C. B., un libero professionista di Reggio Emilia che come tanti nemmeno prova a camuffare il suo nome e cognome autentico, come se non ci fosse nulla di sbagliato in quello che fa, scrive: “Come dorme la mia dolce metà! Cosa ne dite?”. E posta una foto della sua compagna immortalata a sua insaputa mentre sonnecchia, in mutandine, con le lenzuola scostate. Si accende la rituale canea di commenti. Scrive un certo Danilo: “Se vuoi vengo a darti una mano, e mentre me la faccio (…): vedrai che dopo i primi colpi comincia a godere come non ha mai goduto”.
A inizio anno è stato rimosso il gruppo francofono Babylone 2.0: migliaia di uomini vi condividevano foto delle loro presunte conquiste, corredate da testi oltraggiosi e sessisti. La notizia ha fatto il giro del mondo. Ma di gruppi simili ne esistono a decine soltanto in Italia. Nascono e rinascono in continuazione. Uomini che umiliano le donne sfruttando l’effetto gogna sconfinata dei social network. Uomini che bersagliano le donne con epiteti rancidi e vili. Quando le nostre mogli, figlie, amiche sono al mare o in palestra, in ufficio o alla stazione, un numero considerevole di insospettabili sta lì a fotografarle di nascosto per riversare le immagini sul loro Facebook parallelo.
Scatti normalissimi, spesso a figura intera e col viso scoperto; istantanee di quotidianità rubate anche dalle pagine social, che rimbalzano di bacheca in chat e infine su Whatsapp. Basta poco per trasformare un semplice selfie in un pretesto di lapidazione morale. In un gruppo – come rivela L’ESPRESSO – dal nome tragi-grottesco (Seghe e sborrate su mie amiche)  Giovanni S. un ragazzo piemontese dall’aria perbene, posta l’immagine di una ragazza comune in jeans e canotta che commette però l’impudenza di sorridere: “Labbra da pompinara da riempire” è il suo pensiero istantaneo. Come se la sua unica colpa fosse quella di essere una donna: una merce sempre in fregola e sempre in saldo sotto la scorza di fuorviante normalità. Qualche tempo fa lo stesso Giovanni aveva condiviso un articolo sul suo account personale Facebook che sensibilizzava contro la violenza sulle donne. Oppure sono scatti privati, inviati in buona fede ma dati poi in pasto con l’inganno a una marea di sconosciuti.
Gigi P. da Palermo ama scambiare momenti intimi della sua fidanzata “con chi mi fa vedere la propria”. Lo contattiamo. Quanti anni ha la tua ragazza? “Venti”, e ci sfodera un ricco album di suoi primissimi piani anatomici. “Ma lei lo sa?”. E lui: “Ovvio che no. Pubblico in giro le foto che lei mi manda per eccitarmi”. Pure Flavio F., un impiegato di Torino, vorrebbe scambiare “figurine di famiglia” con noi: “Ti mando foto della mia amante, della mia ex o delle mie amiche. Dipende da come mi contraccambi”. Nel gruppo Zozzoni e Zozzone quasi hot (7 mila iscritti) tale  Frank Jo Jo C., che nella vita gioca a calcio a livello professionistico, inserisce uno scatto della moglie a bordo piscina e un po’ si strugge: “Sto cercando di coinvolgerla con un altro uomo, ma non è facile”. Gli viene in soccorso Pierpaolo (“Dammi il numero così la chiamo”). Ma Frank non si dà pace: “è troppo seria purtroppo”.

Certe volte la molla scatenante è invece una turpe vendetta da consumare gettando fango su qualche vecchia fiamma. Qui siamo dalle parti del “revenge porn”, come nel drammatico caso di Tiziana Cantone. In La esibisco, foto amatoriali e avvistamenti (un’altro gruppo Facebook blindato ed amministrata da Sabatino B, autotrasportatore di Civitavecchia e Pietro M, catanese con tatuaggi e sopracciglia ad ali di gabbiano) si produce, ad esempio, Claudio: “E che ne dite di questa che per otto anni me la sono scopata? Se c’è qualcuno interessato, in privato posso dire dove può trovarla”. La cessione di un diritto feudale.

L’ottimo collega Maurizio di Fazio sull’ ESPRESSO rivela un mondo ben noto, che purtroppo le Autorità, la Polizia Postale, gli amministratori di Facebook ben conoscono, e non fanno nulla per contrastarlo Ci spostiamo nel gruppo Mogli e fidanzate Napoli esibizioniste e troie, 15 mila fedelissimi. Un tale Ralph M. mette all’asta sua sorella e i convenuti intraprendono la consueta geolocalizzazione del tesoro. Perché il fine ultimo è la caccia reale alla preda. Si cerca perciò di carpire le generalità dell’ignara protagonista di turno: le sue abitudini, il suo indirizzo. E dall’abuso verbale alla violenza fisica, il passo può essere breve.

Andrea P. è un habitué del gruppo Giovani fighette per porci bavosi (11 mila membri) e carica il file jpeg di una ragazza castana in costume sul letto: “Altra bella fighetta” è il suo contrassegno da gentleman. Daniele minaccia: “Io la rompo una cosi”. Un altro: “Per i capelli: bocca aperta, pene fino in gola”. E la fantasia di stupro è servita. L’abisso è vicino anche in Scatti per le strade italiane e non. Riccardo V. sciorina il suo atout: una ragazza di spalle in supermini jeans al supermercato. Si infuriano tutti. Giulio: “Una zoccoletta”. Uno sulla settantina: “Merita di essere sbattuta per bene a pecora”. Claudio: “Sto arrivando troia”. Nel frattempo, Marco da Napoli: “Mia cognata riposa inconsapevole di non essere sola” et voilà due immagini dell’attempata parente intenta nella siesta pomeridiana. Tanto basta a fomentare gli animi. E c’è chi vomita oscenità da bagno pubblico all’indirizzo fotografico di ragazzine che paiono minorenni.

L’articolo 167 del codice della privacy prevede la reclusione da uno a sei mesi per chi pubblica foto senza consenso. Ma di fatto viene garantita l’impunità a questi nuovi primitivi che vedono “zoccole e vacche” ovunque. Tante donne soffrono in silenzio, e l’umiliazione del cyberbullismo a sfondo sessuale si mescola alla paura e alla frustrazione. Denunciare alla Polizia Postale sembra inutile, e su Facebook nessuna grande campagna di pulizia e polizia interna è in corso. L’importante, si sa, è rispettare i suoi “standard specifici”. La dignità femminile non fa parte dell’algoritmo.

 

Mentre la Magistratura nel caso di Marta è intervenuta, resta da chiedersi :quante altre Marta, Tiziana, ecc. sono o saranno vittime di questa gentaglia, che non si possono definire uomini ? Non è vero che i socialnetwork non possono fare niente. La verità è che non vogliono fare niente, preferiscono girarsi dall’altra parte, organizzare convegni pseudo ridicoli, e mantenersi questi gruppi e questi profili falsi che generano traffico internet, contatti, che per i socialnetwork significa soldi. Un Paese serio farebbe una legge stringente a tutela del rispetto della persona, della dignità di ognuno. Ed un social network chiederebbe un documento a tutti coloro che si iscrivono, con opportune procedure di verifica imponendo di indicare un numero di telefono cellulare per tracciare le persone. Quando lo capiranno i nostri politicanti ? O dobbiamo aspettare che capiti a qualche donna politica, o qualche figlia dal cognome illustre o alle loro mogli  ?
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