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20 Aprile 2024 08:13
20 Aprile 2024 08:13

Poche donne, legge non rispettata

Per legge le giunte comunali sono tenute a rispettare l’equilibrio di genere. Ma la norma stessa e la giurisprudenza aprono dei varchi per aggirare questo principio. Stabilendo però degli obblighi per i sindaci: dove sono le evidenze che le assessore non si trovano?

di Marco Ginanneschi

ROMA – Che cosa succede quando una giunta comunale non rispetta il principio dell’equilibrio di genere? Ci sono stati diversi ricorsi e in Calabria  vari organi locali sono stati sciolti dal Tar. Ma finora non si ha notizia di controlli sistematici o di carattere generale: ogni volta si è trattato di interventi su casi singoli.

Tuttavia da questi ricorsi è scaturita una giurisprudenza che ha aggiunto vari dettagli per l’applicazione della legge, e di fatto anche la via per eluderla. L’equilibrio di genere negli organi di governo dei comuni non è infatti solo un generico principio di buone pratiche a cui tendere. È invece una norma concreta, inserita nell’ordinamento italiano dalla legge 56/2014, conosciuta come legge Delrio, che all’articolo 1 comma 137 stabilisce che “Nelle giunte dei comuni  con  popolazione  superiore  a  3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato  in  misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico“.

Un primo punto di debolezza sta proprio nella genericità di questa forma di approssimazione, che di fatto consente un’interpretazione lasca della norma. Un altro tassello, forse ancor più sfavorevole per l’applicazione dell’equilibrio di genere è una sentenza del Consiglio di Stato, che ha riconosciuto l’impossibilità di applicare il principio di pari opportunità. La sentenza stabilisce infatti la necessità di bilanciare due principi: l’equilibrio di genere e il corretto svolgimento delle funzioni politico-amministrative, che non possono essere interrotte pur di applicare le disposizioni a favore della parità.

In particolare la sentenza recita:

«L’applicazione della prescrizione contenuta nell’art. 1, comma 137, della legge 7 aprile 2014, n. 56, non può pertanto in alcun modo determinare un’interruzione dell’esercizio delle funzioni politico – amministrative ovvero provocare un ostacolo al loro concreto ed effettivo esplicitarsi. Il giusto contemperamento dei due delineati principi costituzionali che vengono in gioco […] può ragionevolmente rintracciarsi nella effettiva impossibilità di assicurare nella composizione della giunta comunale la presenza dei due generi nella misura stabilita dalla legge».

Ci troviamo di fronte all’ennesimo principio stabilito dal legislatore che viene smentito da altri organi dello stato o comunque dalla pratica? Di fatto può essere questa la via con cui il primo cittadino giustifica la mancata nomina di donne in giunta. Tuttavia la stessa sentenza aggiunge anche un altro dettaglio: se è impossibile nominare assessore, bisogna provarlo.

«impossibilità che deve essere adeguatamente provata e che pertanto si risolve nella necessità di un’accurata e approfondita istruttoria ed in un’altrettanto adeguata e puntuale motivazione del provvedimento sindacale di nomina degli assessori che quella percentuale di rappresentanza non riesca a rispettare»

I sindaci devono dunque fornire prove documentali dell’effettivo svolgimento di adeguata attività istruttoria per trovare le donne da nominare assessore. Devono cioè provare di compiuto ricerche concrete di nominativi femminili a cui affidare gli incarichi. Non solo: lo stesso pronunciamento ha stabilito che non basta pubblicare due atti di rinuncia all’incarico proposto. Bisogna dunque produrre evidenze di una ricerca ampia, specificando con quali modalità, per trovare le personalità femminili da inserire in giunta, provando dunque l’effettiva impossibilità di nominare donne.

Che cosa hanno fatto i sindaci le cui giunte non rispettano la legge Delrio? Quali documenti hanno pubblicato, quali evidenze hanno prodotto per dimostrare che si trovavano in effetti impossibilitati a rispettare la legge? Per esempio il sindaco del comune di Fermo, dove le assessore arrivano a un misero 11%, ha svolto l’accurata attività istruttoria richiesta dalla giurisprudenza sulla materia, ed è in grado di produrne le evidenze?

Stesso discorso per Agrigento, Aosta, Trento, Caltanissetta, Enna, Bolzano, Ascoli Piceno, Potenza, Grosseto: nessuna di queste giunte comunali supera il 30% di donne nell’organo, come è evidente nel grafico. A questi comuni si aggiunge Verbania, la cui giunta risulta “squilibrata”, ma in quest’unico caso a sfavore degli uomini, che sono solo il 28,57% dei componenti. Ma anche a Taranto negli ultimi giorni con le dimissioni di un assessore

Tra i 67 capoluoghi di provincia andati al voto dopo l’entrata in vigore della legge Delrio, solo 41 hanno raggiunto una presenza bilanciata di uomini e donne in giunta. In 15 casi invece la norma si può dire rispettata solo grazie a un’interpretazione “estensiva” del suo dettato.

Per misurare gli effetti della norma sono stati presi in considerazione i 67 capoluoghi di provincia andati al voto dopo la sua entrata in vigore. E sulla genericità di “arrotondamento aritmetico”  si è inserito un primo gruppo di organi locali, che non raggiunge il 40% di donne o uomini in giunta, ma assimila a questo valore qualsiasi percentuale superiore al 30. Una modalità di conteggio che è una interpretazione “estensiva” della norma, la quale viene dunque applicata non alla lettera ma in maniera un po’ forzata.

Fra i comuni osservati, infatti, 15 hanno una quota di assessore che va dal 30 al 40% e dunque si può dire che rispettino la norma solo “alla larga”. In altri 11 casi la legge non è rispettata, poiché la quota di donne (e in un solo caso di uomini) è troppo bassa persino per avvicinarsi solo vagamente all’equilibrio stabilito dalla legge. In 41 di questi comuni si può dire che il peso di uomini e donne è bilanciato, poiché le donne in giunta sono tra il 40 e il 60% dei componenti. Da notare che a Verbania a essere sovrarappresentate sono le donne, che pesano per un 71,43% sul totale dei componenti della giunta.

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