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19 Aprile 2024 11:39
19 Aprile 2024 11:39

Operazione Feudo: per la Cassazione “inammissibile” il ricorso della Procura

Nell’udienza della Suprema Corte tenutasi ieri in camera di consiglio il procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso del pubblico ministero in quanto “non porta nulla di nuovo a quanto già appurato e deciso dal Tribunale del Riesame”

Dopo il Gip di Lecce ed il Tribunale del Riesame di Lecce che già avevano rigettato la richiesta del pubblico ministero Alessio Coccioli della Procura Distrettuale Antimafia di Lecce di adozione di misure nei confronti di 11 indagati fra cui il noto penalista tarantino Avv. Antonio Mancaniello  (difensore di Giuseppe Cesario) e l’ex vice-sindaco di Statte Francesco Tagliente in relazione all'”operazione Feudo“, le cui indagini erano state affidate alla Guardia di Finanza di Taranto, la 2nda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, lo ritenuto “inammissibile” confermando la precedente decisione assunta dal giudici dr. Gatto del Tribunale del Riesame di Lecce. Nell’udienza della Suprema Corte tenutasi ieri in camera di consiglio  il procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso del pubblico ministero in quanto “non porta nulla di nuovo a quanto già appurato e deciso dal Tribunale del Riesame” .Chiaramente adesso sarà il giudice di merito a doversi esprimere nel corso del processo.

L’operazione Feudo verteva sul capo indiscusso dell’organizzazione il boss Giuseppe Cesario, detto Pelè, deceduto nel 2014, il quale poteva avvalersi dei suoi uomini di massima,  Cosimo Bello che aveva il grado di “santista” e  Carlo Mastrochicco.  Cosimo Morrone, invece, aveva il compito di organizzare la vigilanza sul boss che era costretto a continui ricoveri in ospedale per le sue precarie condizioni di salute. Secondo le indagini delle fiamme gialle e l’impianto accusatorio il pregiudicato Carmelo Dimauro aveva l’incarico di gestire numerosi rapporti finanziari anche con tassi usurari. Gianni e Luciano Bello si occupavano di gestire il traffico di droga.

Il ruolo di autisti dell’organizzazione era stato affidato a Francesco Gesualdo, Cataldo Marzella e Domenico Scarci  . Alessio Ferrigni aveva il grado di “picciotto”  Salvatore Musciacchio  quello di “camorrista”  erano i guardaspalle di Cesaro, la cui compagna e convivente Anna Rabindo  e Daniela De Gennaro erano le “consigliere” del clan. La cassa dei proventi delle attività criminali del sodalizio affidata e gestita da Domenico, Raffaella e Francesca Cesario e Vittoria Russo.

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