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19 Aprile 2024 23:10
19 Aprile 2024 23:10

Le tangenti e “spese allegre” del capitano Di Guardo provenivano da La Spezia e sono proseguite a Taranto

Il capitano di vascello Di Guardo interrogato dal pm Carbone ha dovuto ammettere di percepire tangenti sin dai tempi in cui rivestiva l’incarico di capo servizio a Maricegesco a La Spezia.

Tutto nasce da un’ intuizione della dr.ssa Valeria Ingenito,  gip del Tribunale di  Taranto, : “Verificare con accuratezza tutti gli appalti gestiti in questi anni dalla Marina”. E’ stato così che, l’inchiesta sulle tangenti pagate da imprenditori a Taranto per ottenere lavori e forniture con i cantieri e le basi militari,  si è allargata a La Spezia.

Il gip Ingenito aveva firmato il penultimo ordine di custodia cautelare nei confronti dell’ex comandante del Commissariato tarantino, Giovanni Di Guardo, precedentemente in servizio in Liguria, nel Golfo dei Poeti,   aggiunge che l’ ufficiale, residente a Pontremoli, potrebbe non essere “nuovo a tali condotte ed essere semmai abituato a metterle in pratica là dove ha ricoperto ruoli chiave“, compresa quindi  il suo precedente incarico spezzino.

Nel corso delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza di Taranto, tre imprenditori hanno ammesso di aver conosciuto Di Guardo, allora capitano di fregata proprio quando era in servizio come capo ufficio amministrativo al Centro gestione scorte navali della Marina Militare a La Spezia, e di avere iniziato a versare tangenti si dal 2010-2011. e la spiegazione viene confermata e condivisa dal giudice per le indagini preliminari Pompeo Carriere nella sua ordinanza con cui ha disposto l’arresto (il terzo) per Di Guardo e altri quattro affaristi-imprenditori. Fra questi il romano Pio Mantovani, socio e procuratore speciale della Ifi srl”, un’azienda romana che  per anni  s’è aggiudicata numerosi appalti per la fornitura di prodotti petroliferi e che, improvvisamente, avrebbe deciso di estendere i propri affari anche al settore delle pitturazioni navali. Era questo il “principale” business, a cui puntavano le ditte disposte a pagare tangenti all’allora capitano di fregata Giovanni Di Guardo ,  ora indagato per corruzione.

Infatti controllando l’elenco dei bandi di gara disposti e  firmati dal Di Guardo quando prestava servizio  al Maricegesco di viale San Bartolomeo a La Spezia è venuto fuori un bando in particolare, il numero numero 05/10 “Procedura ristretta accelerata per la fornitura a quantità indeterminata, in cinque lotti, di pitture e diluenti omologati a specifiche tecniche varie” per un importo massimo complessivo a base di asta di 1.500.126,90 euro, esente da imposte sul valore aggiunto. Pitture queste che avrebbero dovuto essere  utilizzare per le basi navali di Taranto, Augusta e La Spezia,

Secondo a quanto riferito dal Di Guardo nel corso dell’interrogatorio di fronte al pm Maurizio Carbone, “la Ifi srl avrebbe contatti di alto livello e radicate conoscenze fra altri vertici dell’amministrazione militare“. Il gip Carriere ,aggiunge poi ,che la ditta romana e tutte le altre coinvolte nel giro di mazzette sarebbero state disposte a “ricorrere a mezzi illeciti pur di ottenere l’assegnazione di appalti, anche in basi militari site a notevole distanza territoriale dalla città di Roma”.

Lo scenario  di corruzione che viene fuori è a dir poco incredibile. Gli appalti “vivisezionati” dai finanzieri nel corso delle indagini, riguarderebbero ogni genere di materiali, da quelli più avanzati dal punto di vista tecnologico ai capi di vestiario per i militari. E adesso gli investigatori della Guardia di finanza e i Carabinieri , per i rispettivi tronconi d’indagine, sono all’opera anche per  verificare  se anche le altre aste siano state “truccate” ed accertare che  i prezzi pagati dalla Marina Militare fossero realmente congrui. Nel 2011 Di Guardo quando era ancora a La Spezia firmò una gara d’appalto per la fornitura di “21 salvagenti tipo 8+4” per un valore di circa 160 mila euro. Secondo esperti del settore i “salvagenti tipo 8+4”   sono dei battelli autogonfiabili capaci di ospitare 8 persone più eventuali altre 4. . Con un piccolo particolare:  la marina mercantile li paga “un decimo della cifra sborsata dal Ministero della  Difesa“.

Di Guardo, intercettato dalla Guardia di Finanza mentre era al telefono con un impresario, temeva però qualcosa, e riferendosi a Taranto dice:  “Là  io devo essere… minchia… lindo e pinto perché se no lì mi arrestano (…) non è che si scherza… lì non siamo né ad Augusta e manco a La Spezia”. Da questa frase arriva la disposizione del Gip  Ingenito: “Verificare con accuratezza tutti gli appalti gestiti in questi anni dalla Marina militare e pure i collegamenti e le supposte complicità di cui gli indagati si sono avvalsi“.  Di Guardo era stato arrestato in precedenza lo scorso 14 ottobre 2016 dai finanzieri, proprio mentre riceveva una busta contenente mazzetta dall’imprenditore tarantino Vincenzo Pastore,amministratore della cooperativa Teoma, che si occupa di pulizia, nonchè sindaco di Roccaforzata .

Secondo gli investigatori, da quanto sarebbe venuto fuori nel corso delle indagini, la tangente pagata dal Pastore sarebbe servita a pilotare un appalto di pulizie da più di 11 milioni di euro nelle basi di Taranto e Napoli.  Di Guardo, diventato capitano di vascello e trasferito a , fino al 2011 ha lavorato proprio nella base della Spezia, in particolare in una caserma di viale San Bartolomeo. Come si legge in un atto pubblico, l’allora capo del servizio amministrativo del Centro Gestione Scorte navali della Spezia da cui  fu poi trasferito in Puglia. “Sin dal primo momento in cui è giunto a Taranto – scrivono gli inquirenti – per insediarsi nel suo nuovo incarico di comandante di Maricommi, prendeva immediati contatti con Martire e Agliata e insieme, da subito, costituivano una struttura associativa, volta ad assicurare l’affidamento degli appalti”, a favore delle ditte disposte a pagare tangenti.

Tale sistema scrive il gip Pompeo Carriere nell’ordinanza – è il frutto di accordi ben collaudati e consolidati nel tempo, tanto che lo stesso Di Guardo ha dovuto ammettere di percepire tangenti sin dai tempi in cui rivestiva l’incarico di Capo Servizio a Maricegesco (acronimo di Centro Gestione Scorte della Marina, ndr) a La Spezia” e gli imprenditori già arrestati hanno ammesso “di avere conosciuto il Di Guardo proprio a La Spezia e di avere cominciato a versare tangenti in suo favore dal 2010/2011, quasi senza soluzione di continuità, assicurandosi in questa modo la certezza di ottenere l’affidamento di beni e servizi a favore delle proprie ditte, provvedendo in alcuni casi anche a fornire al Di Guardo l’elenco delle ditte da invitare, con la certezza che le stesse non avrebbero presentato alcuna offerta ovvero che avrebbero presentato offerte puramente di “comodo“.

Le indagini della Guardia di Finanza confermano l’esistenza di un sistema di tangenti del 10%. Il Gip afferma nella sua ordinanza  che “ è il frutto di accordi ben collaudati e consolidati nel tempo, tanto che lo stesso Di Guardo ha dovuto ammettere di percepire tangenti sin dai tempi in cui rivestiva l’incarico di capo servizio a Maricegesco a La Spezia”.

Di Guardo, nel corso dell’  interrogatorio con il pm Carbone ha messo in evidenza l’alto livello in cui si muoveva la I.F.I. srl, società di cui Mantovani era socio. L’imprenditore romano posto agli arresti domiciliari, secondo il capitano  Di Guardo aveva “radicate conoscenze  anche fra gli altri vertici dell’Amministrazione Militare” ed era intenzionato di allargare il proprio “business” allargandolo dal settore della fornitura dei prodotti petroliferi a quello delle pitture navali, settore questo in cui si sarebbe scontrato con grosse imprese settoriali. Nell’ ordinanza del Gip si legge che secondo il Mantovani la soluzione è quella di “ricorrere  a mezzi illeciti pur di ottenere l’assegnazione di appalti, anche in basi militari site a notevole distanza territoriale dalla città di Roma” dove è ubicata l’impresa, motivo per cui Pio Mantovani, con la collaborazione di suo  fratello Francesco (che al momento non è ancora indagato) avrebbero esercitato  delle “notevoli pressioni corruttive” in quanto secondo le affermazioni verbalizzate dal  Di Guardogirano per Ministeri e hanno quindi anche la possibilità di ricevere notizie riservate utili per la loro attività”.

Nell’ ordinanza di custodia cautelare il gip  Carriere evidenzia che “Di Guardo, sin dal primo momento in cui è giunto a Taranto per insediarsi nel suo nuovo incarico di comandante di Maricommi, (in quanto paradossalmente inviato per fare pulizia dopo i precedenti arresti e inaugurare un nuovo corso) prendeva invece immediati contatti con Marcello Martire e Valeriano Agliata con i quali si era già incontrato a Roma e insieme avevano costituito una vera e propria struttura associativa volta ad assicurare l’affidamento degli appalti gestititi dalla direzione di Maricommi non solo delle ditte facenti capo ad Agliata ma anche a beneficio di altri imprenditori, realizzando un vero e proprio cartello di imprese” ed aggiunge  “E’ il trionfo del feroce demone dell’avidità e del denaro che “tutto muove” mossi dal quale i protagonisti della vicenda (pubblici ufficiali e imprenditori) non paiono spaventati neppure dalla prospettiva delle indagini in corso e di potenziali arresti o sequestri”.

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Per quanto riguarda la posizione del commerciante-faccendiere Gaetano Abbate, titolare della ditta Kent  srl di Taranto viene fatto riferimento all’episodio della consegna nella villetta tarantina di Di Guardo della tangente di 10mila euro avvenuta attraverso l’intermediazione del Martire in due rate: la prima  il 28 giugno del 2016 e  la seconda il giorno successivo. L’ Abbate era in notevole ritardo nella consegna del vestiario oggetto dell’appalto, versò questo somma per evitare che l’allora direttore di Maricommi potesse attivare la polizza fideiussoria, secondo quanto previsto dall’appalto di fornitura,  il che avrebbe determinato  delle conseguenze sul piano procedurale (annullamento dell’appalto ) che economico. Dalle dichiarazioni di Di Guardo si apprende che i rapporti con Abbate li aveva curati esclusivamente Martire, solo in quella particolare occasione, ma che l’ufficiale della Marina Militare  “non aveva inserito stabilmente Abbate nel giro degli imprenditori amici  ma anzi aveva dei motivi di recriminazione e di avversione nei riguardi dello stesso Abbate

Le “pressioni” romane.  Nelle indagini sarebbe emerso anche che un ammiraglio della Marina Militare avrebbe telefonato da Roma al capitano di vascello Giovanni Di Guardo, all’epoca direttore di Maricommi Taranto, per annunciargli che l’imprenditore Giuseppe Musciacchio  arrestato nei giorni scorsi dai finanzieri  insieme a Vincenzo Calabrese, Gaetano Abbate e Pio Mantovani su ordine del gip Pompeo Carriere,  sarebbe andato a trovarlo nei giorni successivi  in ufficio.

Il tentativo di eludere le intercettazioni. Gli indagati nell’inchiesta del pm Carbone avevano cercato inutilmente di fare un salto di qualità a livello informatico per comunicare fra di loro senza essere intercettati , utilizzandola piattaforma di messaggistica Telegram (al posto di WhatsApp) applicazione che secondo gli inquirenti ha un meccanismo di crittografia più sofisticato e difficile da bypassare   Telegram consente delle chat segrete nelle quali cui i messaggi possono essere autodistrutti automaticamente.

Le chat segrete dispongono della crittografia end-to-end che teoricamente assicura che un messaggio possa essere letto solo dal suo destinatario. Ma  così non è, come comprovato anche nel caso del sindaco Virginia Raggi e del suo gruppo di chat “Quattro Amici al Bar” , in quanto gli specialisti di informatica delle Forze dell’ ordine (Polizia Postale, Racis dei Carabinieri e Gat della Guardia di Finanza )hanno raggiunto un livello di professionalità e competenza tecnica in grado di superare anche questi ostacoli. Al momento vi è un unico sistema di messaggistica “blindato” ed inaccessibile, ma per evitarne l’uso non vi diciamo il nome. Secondo i più autorevoli hackers del mondo sarebbe inaccessibile  persino per l’  NSA-National Security Agency  l’agenzia americana sulla sicurezza delle telecomunicazioni. Gli indagati successivamente per comunicare sono passati al metodo “all’antica” ossia ai contatti faccia a faccia. Uno degli indagati durante l’interrogatorio infatti afferma: “All’iPhone feci fare diecimila bonifiche, il cellulare non lo usavo proprio più. Chiudevo la macchina e me ne andavo in campagna a parlare”.

Il gruppo  di tangentisti per conoscere e cercare di depistare le indagini. si avvaleva anche di personale infedele dello Stato, il luogotenente Paolo Cesari dei Carabinieri e   Fabio Giunta un ispettore della Polizia di Stato , per ottenere informazioni riservate sulle indagini in corso. In una intercettazione Di Guardo riferisce infatti che un carabiniere stava eseguendo una serie di riscontri per conoscere gli elementi in possesso degli investigatori.  “Adesso c’ho il carabiniere che sta indagando su quello che sa la Finanza…”. Ma non solo.

Infatti il Cap. Di Guardo viene intercettato mentre dice al suo interlocutore  “...hanno fatto delle fotografie alla casa, stanno piazzando microspie, cose, dentro la casa e dice che io incontro imprenditori a casa. La Polizia tributaria delle Fiamme Gialle hanno consentito di individuare una organizzazione ben strutturata che attraverso i raggiri hanno intascato risarcimenti da 17 compagnie di assicurazione. Le compagnie hanno sborsato 635mila euro per trentanove i falsi incidenti stradali. Accertamenti bancari e patrimoniali eseguiti dalla Guardia di Finanza nei confronti del gruppo hanno consentito inoltre di contestare il reato di riciclaggio nei confronti di due persone che hanno “agevolato” l’acquisto da parte del titolare dell’agenzia di una villa del valore di 150mila euro, attraverso operazioni utili a nascondere la provenienza illecita del denaro. e se hanno messo un Gps nella macchina lo faccio controllare lunedì. Un carabiniere e un poliziotto stanno cercando di scoprire che cosa c’è sotto, che abbiamo scoperto per caso. Stavo tornando a casa, è venuto Marcello ha visto uno dietro un cespuglio che faceva fotografie, l’abbiamo seguito, abbiamo preso il numero di targa della macchina, ha fatto fare un controllo dalla Polizia, la macchina era della Finanza… Poi ehm… la Finanza ha chiamato il poliziotto e gli ha detto “perchè hai fatto il controllo sulla nostra macchina?” Il poliziotto ha detto: “no, perchè è una casa dove stanno due donne sole. Ci hanno fatto una segnalazione, quindi abbiamo controllato per farle stare tranquille”.

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