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28 Marzo 2024 22:55
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La Marina Militare ha mentito sul naufragio dei bambini : “Nave Libra non deve stare tra i coglioni quando arrivano le motovedette (maltesi)”

Ecco le conversazioni che smentiscono la versione riferita alla Camera dal ministro Pinotti. L'inchiesta sul nuovo numero de "L'Espresso". E da lunedì il videoracconto "La legge del mare" con le comunicazioni degli ufficiali che hanno impedito l'intervento della nave militare

ROMA – Una telefonata di due minuti e cinquantasette secondi, che il settimanale L’ESPRESSO pubblica in parte in questa anticipazione (vedi QUI) , ribalta quanto i vertici della Marina militare hanno fatto riferire alla Camera dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti.

L’Espresso, nel nuovo videoraccontoLa legge del mare” che vedrete integralmente su questo sito da lunedì 5 giugno, ha raccolto le comunicazioni tra gli ufficiali del Comando della squadra navale della Marina, il Cincnav di Roma, cioè il braccio operativo dello Stato maggiore. E anche le telefonate tra gli ufficiali del Cincnav e la centrale della Guardia Costiera.

 

 

Davanti alla Camera il 17 maggio scorso, dopo la pubblicazione sul sito de L’Espresso dell’altro videoracconto “Il naufragio dei bambini, il ministro Pinotti ha invece dichiarato: “La Marina riferisce che appena informata… ha disposto di propria iniziativa che nave Libra, distante circa quindici miglia nautiche dal natante in difficoltà, si dirigesse verso il punto segnalato“. Questa e altre telefonate dimostrano l’esatto contrario. Nel naufragio sono annegate 268 persone, tra cui 60 bambini.

Questo il foto racconto tratto dal videoIl naufragio dei bambini” che sbugiarda il Ministro Pinotti, la Marina Militare e la Guardia Costiera:

cliccando sulle foto, potrete ingrandirle e leggere il contenuto delle conversazioni originali

È il pomeriggio di venerdì 11 ottobre 2013. Per cinque ore nel mare calmo almeno 480 profughi siriani su un peschereccio che sta affondando attendono i soccorsi. La nave più vicina, il pattugliatore militare Libra, è ad appena 17 miglia, un’ora di navigazione. Ma il comando della Marina, in piena operazione di soccorso, impedisce il suo intervento. E addirittura ordina alla comandante, il tenente di vascello Catia Pellegrino, tenuta all’oscuro delle reali condizioni di pericolo, di allontanarsi e andare a nascondersi: in modo che sia una motovedetta maltese a farsi carico del recupero dei profughi, anche se l’unità di Malta è ancora a 120 miglia.

cliccando sulle foto, potrete ingrandirle e leggere il contenuto delle conversazioni originali

Il linguaggio usato dal Comando di squadra navale della Marina è agghiacciante.Al Libra che cosa gli diciamo?“, chiede l’ufficiale di servizio dalla centrale operativa aeronavale. Sono le 15.37. A quest’ora la Libra potrebbe ancora raggiungere tutti i profughi. «Che non deve stare tra i coglioni quando arrivano le motovedette (maltesi)», risponde invece il capo sezione del Cincnav, cioè il comandante delle operazioni in corso. “E quindi che gli diciamo, di mantenersi… fuori dalla congiungente… a una distanza dal contatto tale da?”, vuol sapere l’ufficiale di servizio. “Tale da poter vedere se sta pisciando in un cestino di frutta ovvero se sta lanciando missili balistici”, risponde l’ufficiale di comando della Marina.

cliccando sulle foto, potrete ingrandirle e leggere il contenuto delle conversazioni originali

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Ecco come è nata l’inchiesta giornalistica dell’ Espresso

di Fabrizio Gatti

L’ ‘inchiesta sul naufragio dei bambini è cominciata dal porto di Lampedusa. Sono le 17.30 di quel venerdì 11 ottobre 2013. Un anziano pescatore dice a un amico che al telegiornale hanno appena dato la notizia di un altro naufragio. Otto giorni prima, a ottocento metri dalla scogliera di Cala Madonna, erano annegati 366 profughi, quasi tutti eritrei. «Questa volta», racconta il pescatore, «è successo a sessanta miglia a Sud di Lampedusa, ma dicono che i soccorso sono usciti da Malta perché loro sono più vicini». Come è possibile? Malta è a Nord Est, il barcone è affondato a Sud. E perché da Lampedusa non si è ancora mosso nessuno?

Le motovedette della Guardia costiera stanno portando in porto gli ultimi cadaveri che stanno ancora pescando dal fondale. Ma i due potenti pattugliatori della Guardia di Finanza sono ancora ormeggiati. Perché, se Lampedusa è sicuramente più vicina al punto del naufragio, non sono ancora partiti? Infatti salpano nel giro di pochi minuti, con una lunga scia di denso fumo nero. Segno che stanno spingendo al massimo. Gli uomini della Guardia Costiera lavano con potenti getti d’acqua il sangue che imbratta il ponte delle loro motovedette e si uniscono anche loro all’operazione.


Le prime notizie raccontano di un conflitto a fuoco
a bordo del peschereccio carico di bambini. Le pallottole hanno bucato lo scafo e si sono rovesciati. Strano, in quegli anni non si era mai sentito di scafisti armati. E infatti si saprà poi che non c’è stata nessuna sparatoria a bordo: a sparare raffiche di mitra sono stati miliziani libici su una motovedetta, la notte prima, subito dopo la partenza. La questura di Agrigento ha difficoltà a parlare con i parenti delle vittime che cercano notizie. Chiedono aiuto ai giornalisti. E “L’Espresso” mette a disposizione il proprio sito come luogo di incontro. Elenchi e foto dei dispersi vengono pubblicati in arabo, inglese e in italiano. Tantissimi sono bambini.

I sopravvissuti portati a Malta e a Porto Empedocle cominciano a raccontare di ritardi nei soccorsi. Sanno che un medico ha tenuto le comunicazioni con l’Italia e con Malta. I medici a bordo erano moltissimi. Scappavano tutti dalla Siria in fiamme. Il primo problema sono i bambini senza genitori. Non tutti sono orfani. I soccorritori in mare hanno proverbialmente raccolto prima i piccoli, poi le donne e per ultimi gli uomini. Così le famiglie si sono spezzate.

Repubblica” riesce a far sapere ad alcune coppie a Malta che i loro bambini sono sani e salvi in Italia. E la burocrazia si mostra subito odiosa. Nonostante Italia e Malta siano due Stati della stessa Unione Europea, passeranno settimane prima che si riescano a ricongiungerli tutti. Una mattina una ragazza scrive una mail dagli Emirati Arabi. Racconta che suo cugino ha perso in mare la moglie e tre figli. È a Malta. Lui le ha raccontato che i soccorsi sono arrivati con quasi sei ore di ritardo dopo un evidente scaricabarile tra autorità italiane e maltesi. A volte la percezione di chi vive una tragedia non è sempre attendibile. Bisogna andare a Malta. L’incontro avviene al tavolino di un bar. Mazen Dahhan, 36 anni, neurochirurgo, la giovane moglie e i tre figli di uno, 4 e 9 anni rimasti in fondo al mare, guarda con gli occhi pieni di lacrime e chiede: «Perché voi italiani ci avete lasciato annegare?».

La loro percezione è proprio quella. La stessa che ha vissuto Ayman Mustafa, 38 anni, anche lui chirurgo, la moglie e una bambina di tre anni rimaste a 61 miglia a Sud di Lampedusa. Raccontano che chi ha tenuto le telefonate è il loro amico e collega Mohanad Jammo, 40 anni allora, anche lui medico. E la testimonianza del dottor Jammo è precisa e dettagliata.

Quando esce il primo articolo su “L’Espresso“, il direttore Bruno Manfellotto decide di mettere la storia in copertina: «Lasciati morire» , è il titolo, durissimo. Letta l’inchiesta, l’ammiraglio Felicio Angrisano, comandante generale della Guardia costiera e delle Capitanerie di porto, scrive una lettera seccata. E riporta fedelmente gli orari delle chiamate e degli interventi. La prima traccia dello scaricabarile tra Italia e Malta: è quello il sentiero che ci ha permesso di ricostruire quanto è avvenuto quel maledetto pomeriggio, dalla posizione effettiva della nave Libra fino alle telefonate di soccorso che da lunedì 8 maggio, nel videoracconto “Il naufragio dei bambini“, stanno facendo il giro del mondo.

Nave Libra, il pattugliatore della Marina italiana, è ad appena un’ora e mezzo di navigazione da un barcone carico di famiglie siriane che sta affondando. Ma per cinque ore viene lasciata in attesa senza ordini. Il pomeriggio dell’11 ottobre 2013 i comandi militari italiani sono preoccupati di dover poi trasferire i profughi sulla costa più vicina. Così non mettono a disposizione la loro unità, nonostante le numerose telefonate di soccorso e la formale e ripetuta richiesta delle Forze armate maltesi di poter dare istruzioni alla nave italiana perché intervenga. Il peschereccio, partito dalla Libia con almeno 480 persone, sta imbarcando acqua: era stato colpito dalle raffiche di mitra di miliziani che su una motovedetta volevano rapinare o sequestrare i passeggeri, quasi tutti medici siriani. Quel pomeriggio la Libra è tra le 19 e le 10 miglia dal barcone. Lampedusa è a 61 miglia.

Ma la sala operativa di Roma della Guardia costiera ordina ai profughi di rivolgersi a Malta che è molto più lontana, a 118 miglia. Dopo cinque ore di attesa e di inutili solleciti da parte delle autorità maltesi ai colleghi italiani, il barcone si rovescia. Muoiono 268 persone, tra cui 60 bambini.  Nel videoracconto “Il naufragio dei bambini“, L’Espresso ricostruisce la strage: con immagini inedite, le telefonate mai ascoltate prima tra le Forze armate di Malta e la Guardia costiera italiana, e le strazianti richieste di soccorso partite dal peschereccio. In quattro anni, dopo le denunce dei sopravvissuti, nessuna Procura italiana ha portato a termine le indagini .

Il resto dell’inchiesta, oltre al videoraccontoLa legge del mare“, sarà pubblicato su L’Espresso in uscita domenica 4 giugno.

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