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19 Aprile 2024 23:38
19 Aprile 2024 23:38

Giornalismo ? No, è solo disinformazione a ruota libera

di Antonello de Gennaro

Ancora una volta siamo costretti ad occuparci del giornalismo schierato, fazioso, disinformato molto diffuso a Taranto, spesso al servizio di sindacalisti, politicanti ed associazioni pseudo-ambientali. Sarà questa la colpa della chiusura di ben due quotidiani ed una televisione negli ultimi due anni ? Probabilmente si. Cerchiamo di capirci qualcosa. Cercando di fare del giornalismo chiaro, trasparente, indipendente, e sopratutto documentato, basato sui fatti, e non sulle opinioni personali qualsiasi esse siano. E’ quello che si aspettano i lettori quando leggono un giornale, ed è quello che quotidianamente stiamo cercando di fare

Francesco Casula
nella foto, Francesco Casula

ILVA & DINTORNI. Il giornalista Francesco Casula  è un collaboratore esterno della redazione tarantina del quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno , (retribuito con 5 euro netti ad articolo ), che come suo diritto si dichiara pubblicamente “comunista“, collabora saltuariamente da Taranto con Il Fatto Quotidiano.

Ed è stato proprio sul quotidiano romano diretto da Marco Travaglio, che nei giorni scorsi il giornalista tarantino ha manifestato la propria incompetenza in materia di economia e politica industriale. Casula parlando dell’ ILVA di Taranto,  ha scritto ieri che  “L’AZIENDA INDIANA ACQUISTA SOLO CON L’IMPUNITÀ TOTALE” , sostenendo in realtà delle teorie esclusivamente personali e peraltro  sulla base di notizie prive di qualsiasi fondamento ed alcun riscontro (come confermatoci da fonti ministeriali e dei vertici ILVA) , facendosi ridere dietro da una platea molto ampia di top managers e rappresentanti istituzionali a livello ministeriale e governativo.

Ecco cosa ha scritto il giornalista  Francesco Casula su Il Fatto Quotidiano:

Lo stabilimento Ilva di Taranto e il quartiere Tamburi.
“Due condizioni per valutare l’acquisto dell’Ilva di Taranto. Dettagli non trascurabili che dipingono in modo emblematico la visione futura dello stabilimento siderurgico ionico. Almeno nelle intenzioni di alcuni acquirenti. Non acquirenti qualunque, ma quelli teoricamente in pole position come ArcelorMittal, leader mondiale nella produzione d’acciaio, che insieme a imprenditori italiani capeggiati dal Gruppo Marcegaglia sarebbero interessati a sedersi al tavolo per discutere le condizioni di acquisto della fabbrica dei Riva.

In una lettera al governo, infatti, la società indiana ha provato a mettere le cose in chiaro. Secondo indiscrezioni trapelate dopo il “no” ricevuto dal Governo nell’ottobre 2014, Mittal è tornata alla carica esattamente 12 mesi più tardi. Un ritorno reso ancor più legittimo dopo bocciatura dell’Unione europea che ha bollato come “aiuti di Stato” i prestiti garantiti elargiti dall’Italia per la sopravvivenza dell’ ILVA. Come in una partita di poker, però, i giocatori indiani hanno provato a rilanciare: per valutare (solo valutare, non acquistare) il futuro dell’acciaieria ionica, infatti, gli indiani hanno chiesto che lo stato italiano realizzi due condizioni.

La prima inquietante richiesta è una immunità totale per i nuovi acquirenti e per il management. Non il “semplice” salvacondotto che il governo italiano ha già garantito agli attuali amministratori, ma una licenza di impunità. Chi gestisce oggi l’ILVA, infatti, gode dell’immunità solo in relazione alla realizzazione delle prescrizioni imposte dal piano ambientale. Mittal, invece, pretende una sorta di “assicurazione casco” su tutti gli aspetti: una sorta di lasciapassare che garantirebbe la non punibilità dei nuovi proprietari e dello staff dirigenziale, ad esempio, anche per responsabilità sulla violazione delle norme di sicurezza”.


Casula straparla quando sostiene di una presunta “bocciatura dell’Unione europea”
che avrebbe a suo dire, e sopratutto dei suoi amichetti pseudo-ambientalistibollato  come “aiuti di Stato” i prestiti garantiti elargiti dall’Italia per la sopravvivenza dell’ ILVA”.

Schermata 2015-12-28 alle 22.34.02Peccato per il lettori del Fatto Quotidiano che tutto ciò non sia vero, in quanto l’ Unione Europa alla data odierna non ha sanzionato il Governo Italiano, ma ha bensì soltanto effettuato soltanto una normale apertura della (eventuale) procedura di infrazione che a Bruxelles aprono a centinaia (!!!)  a seguito della valanga di esposti ricevuti dai soliti “quattro” pseudo-ambientalisti tarantini, ognuno ben noto per la ricerca spasmodica quotidiana di protagonismo mediatico con velleità elettorali politiche. Uno stipendio pubblico, si sa, è molto ambito a Taranto….

In realtà come scrive correttamente il collega Claudio Tito del quotidiano La Repubblica (che almeno sa di cosa scrive)  la procedura di infrazione, nella fattispecie, non è stata ancora completata.

Il collega Tito spiega molto bene che “Sul caso Ilva, infatti, il governo insiste nel richiamare l’attenzione sulla circostanza che non si tratta di un semplice “salvataggio” ma anche di un’operazione finalizzata al risanamento ambientale. E secondo l’esecutivo italiano, proprio la disciplina europea prevede l’intervento pubblico in questi casi e in modo particolare in riferimento all’intervento siderurgico

Aprire una procedura di infrazione, è cosa ben differente. Il collega Casula dovrebbe avere il buon gusto e la necessaria professionalità di documentarsi un pò di più e cercare di capire meglio la differenza, magari facendosela spiegare da un avvocato esperto di diritto internazionale, specializzazione che in quel di Taranto a dir poco “latita”,  e dopodichè forse avrà la possibilità (e la fondatezza) di poter spiegare la realtà dei fatti, a quelle decine di lettori che acquistano  il Fatto Quotidiano in edicola a Taranto. 

cdG arcelorMittalSarebbe interessante conoscere come e da chi  Casula abbia appreso e raccontato virgolettando, cioè attribuendo a terzi delle frasi mai dichiarate ufficialmente da nessuno (!!! ) che  la multinazionale franco indiana Arcelor Mittal,pretende una sorta di “assicurazione casco” su tutti gli aspetti” 

Un vecchio vizietto giornalistico, che spesso nei Tribunale si conclude con sentenze per diffamazione per chi si inventa fonti inesistenti. Non contento, il giornalista-comunista invece di fare informazione per i lettori, scende nella polemica “politica”, scrivendo:

Il governo deve decidere se proseguire con la trattativa, ma la Puglia dice no
“Il motivo è legato alla seconda richiesta presentata al governo: il dissequestro dell’area a caldo, cioè di quei sei reparti bloccati il 26 luglio 2012 dal gip Patrizia Todisco perchè fonte di emissioni che causavano “malattia e morte nella popolazione”. In sostanza, come anticipato da Repubblica, gli indiani vorrebbero aumentare il livello di produzione a 9 milioni di tonnellate all’anno (oggi fermo al limite di poco più di 8 milioni imposto dall’autorizzazione integrata ambientale), ma senza passare a nuove forme energetiche, anzi. Mentre l’ipotesi del gas, auspicata anche dal governatore della Puglia Michele Emiliano prende piede, gli indiani vorrebbero continuare a produrre acciaio più o meno con la stessa modalità che ha avvelenato operai e cittadini del quartiere Tamburi, infatti proprio Emiliano sul Fatto di ieri invocava Eni o Enel come acquirenti ideali per l’Ilva.

Invece, con gli indiani ancora una volta salute e lavoro nel capoluogo ionico non troverebbero un equilibrio: perché produrre acciaio partendo da carbone e minerale di ferro stoccate nei parchi minerali (ancora) a cielo aperto significherebbe lasciare che tonnellate di polveri vengano trasportate dal vento e finiscano nelle case e nelle vite degli abitanti del vicino quartiere Tamburi. Ora, naturalmente, la prossima mossa spetta al premier Matteo Renzi

Matteo Renzi e Michele Emiliano
nella foto, Matteo Renzi e Michele Emiliano

Anche in questo caso Casula continua in un giornalismo “schierato“. Peraltro disinformato, utilizzando delle dichiarazioni “politiche” e non tecniche espresse dal governatore Emiliano (che è bene ricordare ai lettori, è solo un magistrato in aspettativa e non ha mai fatto l’industriale o il manager !). Come giustamente fa osservare un nostro lettore che di industria ci capisce qualcosa, “Il Governatore della Puglia scambia un altoforno per un barbecue e ne chiede l’alimentazione a gas piuttosto che a carbone. Peccato che siano già alimentati a gas e che il carbonio del carbon coke sia necessario, in fusione, per produrre l’acciaio che, altrimenti, resterebbe ferro“. Resta da capire da chi e con quali competenze tecniche specializzate Casula abbia stabilito e scritto che “ produrre acciaio partendo da carbone e minerale di ferro stoccate nei parchi minerali (ancora) a cielo aperto significherebbe lasciare che tonnellate di polveri vengano trasportate dal vento e finiscano nelle case e nelle vite degli abitanti del vicino quartiere Tamburi”


Casula inoltre non dice come è finito il sequestro giudiziario
di cui parla, operato dal Gip Todisco. Con una prima istanza, in data 4 gennaio 2013, i p.m. tarantini  chiedevano disporsi – sulla base dello ius superveniens rappresentato dall’art. 3 d.l. 207/2012, nel frattempo convertito in legge – la modifica del provvedimento di sequestro preventivo delle aree e degli impianti dello stabilimento ILVA (disposto appunto dal giudice Todisco sin dal 25 luglio 2012 ), restituendo alla proprietà la facoltà di uso degli impianti e revocando i custodi-amministratori già nominati dal G.i.p.; in alternativa, chiedevano che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale del decreto legge. Casula non racconta le motivazioni per cui la Corte costituzionale, lo scorso 9 aprile 2014, ha rigettato il ricorso del gip di Taranto Patrizia Todisco, e del Tribunale del Riesame, contro la legge definita “Salva Ilva.

Schermata 2015-12-28 alle 15.49.54

Secondo la magistratura tarantina il decreto e la legge sarebbero stati incostituzionali perché, agendo anche in maniera retroattiva, annullavano di fatto i provvedimenti emessi contro l’acciaieria, come il sequestro dell’area a caldo o quello dell’acciaio già prodotto e sulle banchine del porto, in attesa di essere venduto. L’ILVA si era sempre opposta a questi due decreti di sequestro, presentando ricorsi con la motivazione che la vendita della merce (un milione e ottocento mila tonnellate rimaste sulle banchine dal 26 novembre 2012 , per un valore commerciale di 1 milardo di euro) avrebbero permesso i lavori di bonifica ambientale. Proprio il 3 maggio 2013 , malgrado la Consulta fosse già intervenuta, il Gip Todisco aveva respinto l’ennesima istanza di restituzione di gran parte della merce, presentata dall’ILVA, dichiarandola inammissibile perché non erano state ancora depositate le motivazioni della Corte costituzionale. Qualche giorno prima, infatti, era il 26 aprile 2013 la Procura aveva disposto il dissequestro la restituzione di una minima parte: l’acquirente delle merci è la compagnia di Stato irachena Oil Projects Company, e l’ILVA (ancora a gestione “privata” ) aveva annunciato che la data ultima per la spedizione era il successivo 5 maggio 2013; altrimenti l’acciaieria privata avrebbe chiesto un risarcimento danni allo Stato di 27 milioni di euro.


Bene. Adesso leggete cosa stabilì la Corte Costituzionale
 sul sequestro dell’impianto disposto dal Gip Patrizia Todisco. La Consulta ritenne che bisogneva interrompere il clima di “sfiducia preventiva” verso l’ILVA, perché “l’aggravamento dei reati già commessi o la commissione di nuovi reati è preventivabile solo a parità delle condizioni di fatto e di diritto antecedenti all’adozione del provvedimento cautelare. Mutato il quadro normativo (a seguito dell’introduzione degli interventi di bonifica ambientale come condizione per la produzione, ndr.) le condizioni di liceità della produzione sono cambiate e gli eventuali nuovi illeciti penali andranno valutati alla luce delle condizioni attuali e non di quelle precedenti“.

CdG corte costituzionaleLa Consulta, spiegando le ragioni per le quali  respinse la tesi presentata dal Gip Todisco e dal Tribunale del Riesame , aggiunse che “si può rilevare con certezza che nessuna delle norme censurate (nella legge Salva Ilva, ndr.) può incidere, direttamente o indirettamente, sull’accertamento della responsabilità e che spetta naturalmente all’autorità giudiziaria, all’esito di un giusto processo, l’eventuale applicazione delle sanzioni previste dalla legge”.

Non ci sarebbe quindi alcun “Salva-Ilva”, secondo la Consulta in quanto “le disposizioni non cancellano alcuna fattispecie incriminatrice, né attenuano le pene, né contengono norme interpretative e/o retroattive in grado di influire in qualsiasi modo sull’esito del procedimento in corso, come invece si è verificato nella maggior parte dei casi di cui si sono dovuti occupare la Corte costituzionale italiana e la Corte di Strasburgo“.

Il novello editorialista dei due ponti…cioè Casula , così conclude il suo articolo :

“Il capo dell’esecutivo non potrà fare altro che scoprire le carte: rimandare al mittente le proposte e cercare nel frattempo di mantenere le tante promesse fatte finora a parole oppure svelare il bluff dei proclami degli ultimi anni e accettare la proposta di Mittal. Perchè al di là di dichiarazioni e decreti, a Taranto, a distanza di oltre tre anni del sequestro degli impianti non è cambiato molto. Lo Stato vanta la realizzazione dell’80 percento delle prescrizioni, ma resta da fare ancora molto: dalla copertura dei parchi minerali all’individuazione di un nuovo asset aziendale nella speranza che il futuro degli operai ionici non passi nelle mani di un nuovo padrone interessato esclusivamente al profitto”

Leggere frasi dell’articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano, come ad esempio “il futuro degli operai ionici non passi nelle mani di un nuovo padrone interessato esclusivamente al profittochiarisce senza alcun dubbio il “credo” politico di Casula. Qualcuno dovrebbe spiegare al giornalista Casula ed agli  ambientalisti”last minute” a lui molto cari , che un’azienda che produce acciaio non è una congrega di boyscout, o una sezione del partito comunista, e sopratutto che il fine di qualsiasi attività imprenditoriale  o commerciale che sia, è l’utile, cioè il guadagno. Senza questa parola magica non si pagano stipendi e fornitori, non si mandano avanti le aziende.

Verrebbe voglia di chiedere a Casula chi dovrebbe individuare “un nuovo asset aziendale“. Forse qualche suo amico-ambientalista che non capisce una “mazza” di impresa ? O qualche suo collega esperto di questioni sindacali giornalistiche tarantine puntualmente irrisolte ?

Di quale “bluff dei proclami degli ultimi anni”  parla il collaboratore tarantino del Fatto ( o stra-fatto ?) Quotidiano ?  La campagna mediatica giornalistica-ambientalista tarantina accanitasi negli ultimi tre anni contro il risanamento ambientale e la ristrutturazione industriale dell’ ILVA di Taranto,  sulla quale bene farebbero  nel nuovo anno a svolgere qualche accertamento ed indagare la Guardia di Finanza e la Procura della Repubblica (quando si risveglierà dal precedente torpore…) su chi finanzia, come vanno avanti queste pseudo associazioni-ambientali, come vivono e si mantengono questi pseudo ambientalisti  “last minute”. Verrebbero fuori anche viaggi e biglietti aerei offerti da qualche imprenditore del settore a giornalisti ed ambientalisti.

E state pur certi che se ne vedrebbero e leggerebbero delle belle. Di “balle” infatti ne abbiamo viste e lette sin troppo sinora.

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Grazie, Antonello de Gennaro

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