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29 Marzo 2024 16:56
29 Marzo 2024 16:56

Fake news o make news?

Ma chi c'è dietro quel testo, quell'articolo o quell'opera audiovisiva a cui riusciamo ad accedere gratuitamente in pochi secondi? Il nocciolo della questione è proprio questo, ovvero il labile confine che c'è tra il riportare una notizia, adempiendo al dovere di cronaca in maniera retta e corretta, e generare una fake news, ovvero un'informazione in grado di storpiare una vicenda, per renderla certamente più appetibile all'utente, sacrificando però il diritto dell'utente ad essere informato correttamente sull'altare del sensazionalismo da bar

di Federico Bagnoli Rossi*

Il problema legato al diffondersi in rete delle fake news è di estrema attualità, ora più che mai, se considerato anche alla stregua di un’altra tematica, riguardante la possibile approvazione della cosiddetta Direttiva Copyright.

La questione ha acceso il dibattito perché, a seconda da che lato la si guardi, si plaude allo sforzo normativo o lo si etichetta come intento repressivo di un mezzo che non può essere imbavagliato.

Come sappiamo, internet è ormai divenuto talmente potente e importante che, come rovescio della medaglia, è in grado di inglobare e fagocitare qualsiasi cosa. Si è pertanto resa necessaria una regolamentazione del settore per tutelare i contenuti culturali e le opere di ingegno da quel far west che è diventato il web, dove ognuno può mettere in rete ciò che vuole, spesso senza l’autorizzazione di chi detiene i diritti di quel determinato contenuto.

La faccenda è molto complessa e coinvolge tutti i soggetti che operano sul wed, per esempio, i motori di ricerca danno agli utenti la possibilità di reperire con facilità informazioni e contenuti in rete. Tra questi, anche contenuti culturali e di intrattenimento che sono stati caricati senza le necessarie autorizzazioni da parte dei titolari dei diritti. Ma chi c’è dietro quel testo, quell’articolo o quell’opera audiovisiva a cui riusciamo ad accedere gratuitamente in pochi secondi? Una persona, o un gruppo di persone che, a seconda dell’opera, può essere qualificato come editore, autore o altro ma, che in tutti i casi, sono titolari dei diritti di sfruttamento di quell’opera, essendone i produttori o i creatori. Ebbene proprio in questo senso si è deciso d’intervenire.

Ci si è accorti che, a fronte dei ricavi mastodontici prodotti dai colossi del web, molto poco veniva corrisposto a coloro che, quel web, lo riempiono di contenuti: notizie, opere e quant’altro sia frutto dell’ingegno umano. L’utente medio è spesso poco interessato a questo tipo di problematiche perché le sente distanti in quanto non afferiscono con la sua vita personale o il suo lavoro. Ma come vi sentireste se per un lavoro che avete eseguito non veniste remunerati? E se quel lavoro venisse sfruttato da altri in cambio di un’utilità a loro vantaggio? Non vi sentireste in qualche modo defraudati di qualcosa che vi spetta di diritto quale riconoscimento del lavoro svolto?

Su questo tema si è dibattuto anche in ambito europeo e le istituzioni sovranazionali sono state chiamate a dirimere i nodi della questione mediante l’avvio di una trattativa che, lungi dall’essere di semplice risoluzione, ha come scopo ultimo l’approvazione di un testo normativo (direttiva) applicabile direttamente a tutti gli Stati membri, e vincolando gli stessi nel risultato da raggiungere, con libera scelta a discrezione del Legislatore nazionale circa i mezzi e gli strumenti legislativi necessari per ottenere detto risultato. Le trattative, che inizialmente sembravano essersi arenate in quanto il testo oggetto della trattativa non trovava i favori di molti dei Paesi membri coinvolti, lasciando spazio a lacunose interpretazioni che spesso e volentieri avrebbero potuto arrecare più danni che vantaggi, sembrano essere destinate alla definitiva approvazione.

C’è da dire però che lungo il percorso non pochi sono gli ostacoli che si frappongono in vista della conclusione degli accordi, essendo molteplici gli interessi in gioco. Vi è di più. Il rischio di licenziare un testo di cui non si conoscono i limiti di applicazione, dato il novero di false notizie che gravitano attorno all’argomento, può costituire un serio pericolo, non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per gli utenti finali, con evidenti ripercussioni negative sia per l’ industria dei contenuti che del web. E non a caso si fa riferimento al concetto di rischio o di pericolo, quando si parla di notizie che girano in rete, legate a qualsivoglia argomento.

Il nocciolo della questione è proprio questo, ovvero il labile confine che c’è tra il riportare una notizia, adempiendo al dovere di cronaca in maniera retta e corretta, e generare una fake news, ovvero un’informazione in grado di storpiare una vicenda, per renderla certamente più appetibile all’utente, sacrificando però il diritto dell’utente ad essere informato correttamente sull’altare del sensazionalismo da bar. Ad esempio, proprio sul testo della Direttiva, molto è stato detto e scritto, il più delle volte travalicando il confine del diritto di cronaca e naufragando miseramente nel mare aperto delle fake news.

Si è scritto per esempio, e correttamente, sulle posizioni contrastanti dei diversi Paesi membri, con particolare riferimento alla Francia e alla Germania circa la possibilità di corrispondere o meno una remunerazione a favore degli editori e degli autori per i collegamenti ai loro contenuti, la cosiddetta “link tax”che nonostante l’appellativo fuorviante, non corrisponde assolutamente a una tassa, e la necessità di un controllo preventivo da parte delle maggiori piattaforme (Google, YouTube, etc) riguardo i contenuti caricati su di esse, frettolosamente bollato come “censura” o “bavaglio della rete“.

Tale diatriba apre la strada a una questione ben più ampia e, se vogliamo, pregiudiziale rispetto al fatto se sia dovuta o meno una remunerazione per un qualcosa che viene condiviso in rete e sfruttato dai grandi operatori del web. La questione, se possibile, è certamente più complessa e delicata. Per quanto possa essere condivisibile la posizione espressa dall’uno o dall’altro Paese, è innegabile che ci si trovi di fronte a una vera e propria emergenza riguardante una corretta informazione, e ciò dovrebbe avere una preminenza assoluta su tutto il resto poiché ne costituisce la naturale premessa.

Della serie: come posso essere in grado di formare un pensiero oggettivo, corretto e scevro da qualsiasi pregiudizio riguardo una particolare tematica, quando molte delle notizie che parlano di quella questione, sono false? La domanda seguente potrebbe essere: l’utente medio è messo nelle condizioni di poter informarsi su qualcosa in maniera corretta ed esaustiva? La risposta, senza timore di smentita alcuna, è NO. In particolare, ciò che ci è dato sapere, mediante l’utilizzo dei sistemi informativi a nostra disposizione, risulta inquinato da una matassa di notizie che con l’informazione vera hanno poco a che fare. Si tratta dell’annosa questione circa la massiccia presenza in rete delle cosiddette fake news, vero vulnus della nostra epoca sempre più digitale. Un virus che, partendo dal web, si annida pian piano nelle nostre menti, contorcendo e distorcendo la visione della realtà delle cose, spesso ben diversa da come ci viene presentata.

La stessa Direttiva Copyright è finita in questo frullatore di notizie che centrifuga i dati restituendo all’utente ciò di cui non avrebbe davvero bisogno: ovvero notizie confezionate ad hoc, a proprio uso e consumo a seconda della corrente di pensiero o dello schieramento politico cui si appartiene. Considerate le spaccature interne create dal dibattito, sia nei partiti politici che tra aventi diritto, cittadini, istituzioni ecc, sarebbe forse meglio procedere a una revisione totale di ciò che i Paesi membri si apprestano a votare? Non è dato saperlo. Allora, prima ancora di discutere sulla regolamentazione dei contenuti che vengono offerti sul web, andrebbe rivista l’intera struttura della rete stessa, dal punto di vista dell’informazione.

Prima di capire se un contenuto messo in rete debba essere o meno remunerato, limitando (è un dato di fatto e innegabile) in caso positivo la circolazione del contenuto stesso, andrebbe effettuata una sorta di scrollatura di tutta quella filiera di informazioni che creano nebbia, che diradano la visuale e confondono il cittadino, il lavoratore, colui che esprime le proprie idee con un voto e che con il voto indirizza la guida politica del Paese. Perché va ricordato, prima che internauti, siamo cittadini e tutto ciò che passa dalla rete, ha una ripercussione sulle nostre vite, prima ancora che sulle nostre scelte. Sì perché il web è un’immensa struttura, ancorché immateriale, fatta di precise fondamenta. Queste fondamenta sono pericolanti perché non hanno un’intelaiatura in grado di sostenerle e, se non si interviene a protezione della base, il rischio di un collasso sarà sempre più imminente.

L’intelaiatura sono le regole e i principi cui tutti noi dovremmo uniformarci per una pacifica convivenza in rete. Ma se queste regole sono inquinate dalla presenza di notizie false, create ad hoc per destare il sensazionalismo che tanto piace al populista di turno, va da sé che l’intero complesso è viziato dal suo interno, finendo prima o poi d’implodere su di sé. Non da ultimo va ricordata la campagna di disinformazione che ha coinvolto Wikipedia, il famoso portale enciclopedico, aggregatore di notizie. Si paventava di una sua possibile penalizzazione se fosse stata approvata la Direttiva Copyright, con un vespaio di polemiche, sollevate da chi era pronto a cavalcare l’onda lunga del populismo mediatico e del sensazionalismo.

Come si è tenuto a precisare in corso d’opera, la possibile approvazione della normativa europea sul Diritto d’Autore non recherà alcun danno al portale in questione, né tantomeno comporterà una restrizione all’utilizzo di meme. Questo perché, essendo Wikipedia un’enciclopedia digitale che non persegue scopi commerciali, è esclusa dal novero delle piattaforme oggetto di regolamentazione da parte della disciplina europea. Questo breve ma significativo passaggio, serve a chiarire la pericolosità insita in una fake news, quando anche il pericolo di qualcosa che non si conosce a fondo, che non si approfondisce o, come spesso accade, neanche si legge, costituisce terreno fertile per costruire falsità e rivendicazioni che nulla hanno a che vedere con i reali interessi in gioco.

Insomma, non importa che venga inviato un messaggio fuorviante e non attinente alla realtà, l’importante è creare scalpore, confezionare una notizia ad hoc in grado di suscitare sdegno in chi la legge e che solitamente non va oltre quell’alone mediatico cucito attorno alla notizia stessa, che ostacola la presa di coscienza su un fatto, impedendo una corretta consapevolezza e informazione su ciò che accade. Il percorso come si evince, si rivela tutt’altro che scevro da ostacoli, costituiti appunto dalle fake news di cui il web è disseminato e che occorrerebbe disinnescare per evitare il peggiore dei mali che attanaglia la nostra epoca: la disinformazione acuta.

*Segretario Generale FAPAV (Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali)

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