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29 Marzo 2024 06:50
29 Marzo 2024 06:50

Da “Mediapart” a “El Diario”: piccoli grandi giornalisti editori crescono

Ecco qualcuno che la pensa come noi del nuovo e "vero" CORRIERE DEL GIORNO. Un buon esempio da seguire in linea con le nostre idee

di Marco Pratellesi

Mica è vero che il giornalismo è in crisi. A soffrire, eventualmente, è un modello industriale del giornalismo. Nuove forme di sostenibilità economica per chi fa informazione sono possibili, come dimostrano i casi di mediapart.fr in Francia e di eldiario.es in Spagna. Quest’ultimo, nato nel 2012, è già una realtà affermata nel panorama dell’editoria iberica: secondo sito di informazione digitale dietro aelconfodential.com, che però ha una storia di 14 anni, e sesto posto assoluto considerando anche i siti espressione di testate stampate.

nella foto Ignacio Escolar
nella foto Ignacio Escolar direttore de ElDiario

Dietro alla formula e al successo di eldiario c’è soprattutto Ignacio Escolar, classe 1975, quindi a metà strada tra la tradizione analogica del giornalismo e la generazione nativa digitale. Il punto di partenza ideale per mescolare le carte della tradizione e dell’innovazione. Una intuizione che gli è valsa il premio Ischia di giornalismo nella categoria internazionale (“Per me è un grande onore ricevere questo premio che è stato vinto da Indro Montanelli, che considero maestro di giornalismo e di divulgazione storica”).

Un passato da musicista, tendenza indie pop con il gruppo madrileno Meteosat, e una lunga sincera passione per la politica, Ignacio Escolar oggi si definisce con orgoglio “bloguere y periodista”. Ha iniziato la carriera nel più tradizionale dei modi, appena ventenne, scrivendo per il quotidiano El Mundo e per Rolling Stones.

Una carriera tanto brillante quanto rapida lo porta a soli 32 anni sulla poltrona di direttore di Publico, quotidiano di sinistra e progressista. La direzione dura due anni. Poi passa la mano ma resta nel giornale come editorialista fino al 2012, quando la crisi costringe Publico a interrompere le pubblicazioni.

Che fare, dunque? E’ qui che nasce l’intuizione Diario…
Era già qualche tempo che ci pensavo e quando Publico ha chiuso i battenti ho capito che era il momento di provarci”.

Quali sono le basi su cui si fonda eldiario?
Avevo in testa tre premesse essenziali del progetto:
1) Che la proprietà fosse interamente della redazione in modo che non ci fossero né interferenze esterne, né condizionamenti di alcun tipo;
2) Che il sito nascesse sotto il segno dell’innovazione digitale, pur conservando la grande tradizione del giornalismo d’inchiesta;
3) Che andassimo ad occupare lo spazio editoriale lasciato scoperto da Publico, giornale progressista, insieme a El Pais, in una Spagna dove la stampa quotidiana è tendenzialmente conservatrice e di centro destra: da El Mundo a La Razon e Abc”.

In che anno siamo?
2012, maggio. L’idea, fin dall’inizio, era di poter contare solo sulle nostre forze. Così siamo partiti con un blog collettivo. Quattro mesi dopo eravamo già in grado di lanciare una vera edizione del Diario, con una redazione di dodici giornalisti”.

Che adesso immagino siano qualcuno di più…
Assolutamente. Siamo 40 giornalisti solo a Madrid più altri 60 sparsi nelle redazioni locali dove facciamo edizioni autonome del Diario”.

Una crescita importante in soli tre anni. Qual è il vostro modello di business?
I ricavi ci vengono al 70 per cento dalla pubblicità e per il restante 30 per cento dagli abbonamenti. La cosa straordinaria è che, partendo con un prodotto molto piccolo e una politica dei piccoli passi, siamo andati in utile fin dal primo anno. La nostra filosofia è fare con quello che abbiamo e se guadagniamo un solo euro lo rinvestiamo nella redazione e nella crescita”.

Un modello virtuoso, ma difficilmente applicabile nei grandi giornali…
Quando ero direttore di Publico avevo 140 giornalisti, però non siamo mai riusciti a produrre utili”.

Come si articola il modello premium di El Diario?
Prima di tutto consideriamo i nostri abbonati come dei ’soci’, nel senso che il loro è un contributo attivo a un progetto del quale condividono impostazione e finalità. Per questo ricevono in cambio una serie di piccoli ‘privilegi’ rispetto ai lettori free”.

Ad esempio?
Noi chiudiamo un’edizione del Diario con gli approfondimenti della giornata verso le 20. Gli abbonati possono leggere quei servizi da subito mentre per gli altri vengono resi disponibili solo dalla mattina dopo alle 7. Inoltre i soci leggono una versione senza pubblicità, ricevono a casa il Diario trimestrale che è l’unica nostra edizione stampata, una monografica che è più un libro da conservare che una rivista”.

Che altro?
I commenti. I soci hanno uno spazio evidenziato per i loro commenti e vengono invitati a eventi particolari. Ma la verità è che il vero valore aggiunto che vendiamo ai nostri soci è l’indipendenza. La loro è una sorta di militanza per un giornalismo che conta, libero e indipendente”.

A questo punto sono curioso: puoi darci le cifre?
Certo! In tre anni abbiamo raggiunto 12.000 soci, cioè lettori paganti a 60 euro l’anno. Poi c’è l’altro 70 per cento che arriva dalla pubblicità grazie al fatto che possiamo contare su 5 milioni di utenti unici al mese. El Pais, che è il leader in Spagna, ne ha 13 milioni.

Nessun editore, nessun padrone?
No, non sarebbe possibile. Io ho il 40 per cento della società è il resto è distribuito fra giornalisti e amministrativi che lavorano al Diario. Negli ultimi tempi vari investitori si sono fatti avanti per comprare quote del sito, ma El Diario non è in vendita”.

A quale modello di giornalismo vi ispirate?
Noi siamo specializzati nel giornalismo investigativo politico e economico. Corruzione e scandali sono il nostro campo di battaglia quotidiano. Siamo stati i primi, in Spagna, a parlare dello scandalo delle carte di credito a nero e c’erano coinvolti tutti: sindacati, politici, imprenditori”.

E, adesso, come pensate di crescere?
Duplicando la redazione. Lo abbiamo fatto ogni anno e mezzo. Tra un mese andiamo in un nuovo ufficio, la nostra quarta sede a Madrid da quando siamo partiti, in grado di contenere 80 giornalisti. Il primo anno la redazione costava 600.000 euro, adesso siamo passati a 3 milioni di euro, in soli tre anni. E tutto questo grazie alla crescita dell’audience, della pubblicità e dei soci”.

Programmi per il futuro?
Mantenere sempre il controllo economico del progetto”.

* tratto dal blog “MediaBlog” di Marco Pratellesi

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